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Reddity on Line: considerazioni sulla diffusione su internet
Inserito il 19 giugno 2008 alle 23:35:54 da admin. Stampa Articolo | Stampa Articolo in pdf
l'aliby della tecnologia
Date le premesse, non stupisce come spesso accada che, trovandosi la nostra società a dover cercare un possibile bilanciamento tra fattori più chiaramente identificabili quali il profitto e/o l’uso delle tecnologie fin dove esso sia tecnicamente sperimentabile, da un canto, e un elemento indeterminato, dai confini nebulosi (purtroppo a volte anche per quelle stesse istituzioni che dovrebbero difenderlo), quale il pubblico bene, si finisca per decretare inevitabilmente la prevalenza (almeno temporaneamente, poi si vedrà…) del ricorso alla tecnologia.

Si tratta di una scappatoia pericolosa, non solo perché sacrifica momentaneamente gli interessi generali a vantaggio della comoda coperta delle “magnifiche sorti e progressive” della tecnologia, ma soprattutto perché avalla un atteggiamento di ingiustificabile pigrizia in relazione, invece, ad un’attività intellettuale che deve essere necessariamente compiuta dall’uomo e dal governante contemporaneo e che dovrà essere compiuta sempre di più in futuro: la ricerca della giusta proporzione in cui la tecnologia dovrà via via essere impiegata nell’esercizio del governo della cosa pubblica e nell’attività amministrativa.

Nel caso in esame, se è vero che il Codice dell’Amministrazione Digitale riconosce e promuove l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione da parte delle pubbliche amministrazioni, è vero anche che tale uso deve avvenire nel rispetto del superiore principio della pubblica utilità.

Una interpretazione estensiva (e non necessariamente scorretta) delle norme che prevedono il deposito per la durata di un anno degli elenchi dei contribuenti, ai fini della consultazione da parte di chiunque, sia presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente sia presso i Comuni interessati su base territoriale, in combinato disposto con il principio espresso nel CAD per cui le PA devono garantire l’accesso alla consultazione e alla circolazione dell’informazione in modalità digitale, potrebbe far ritenere che la messa a disposizione online con le modalità indicate nel Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 5 marzo scorso sia stata lecita.

Ma rimarrebbe comunque l’interrogativo di fondo che il giurista non può non porsi: a chi giova?

Questo specifico uso delle nuove tecnologie, con questi tempi e queste modalità, può ritenersi rispettoso del principio di pubblica utilità?

Sicuramente una diffusione massiccia, indiscriminata, incontrollata, del dato personale reddituale quale quella che si è verificata circa un mese e mezzo fa, non giova al singolo contribuente, ma a parere di chi scrive non vi si riconosce neppure una qualche utilità di carattere pubblico.

Le conseguenze più rilevanti che possono derivare dalle modalità di diffusione del dato impiegate nel caso in oggetto paiono essere infatti, a parte quella di alimentare il generale pettegolezzo, la maldicenza fino alla vendetta personale, se non la criminalità organizzata a fini di estorsione o di sequestro di persona, quella della formazione di banche di dati parallele rispetto a quelle gestite dal Ministero delle Finanze contenenti i dati reddituali e fiscali di tutti i cittadini italiani: archivi digitali o cartacei non legittimi, in quanto costituiti e utilizzati con abuso di un potere proprio della sola funzione pubblica.


 
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