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Anche il naproxene nell'occhio del ciclone
Inserito il 22 dicembre 2004 da admin. - reumatologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Dopo la tempesta che ha colpito la classe dei coxib sembra che anche il naproxene manifesti gli stessi problemi cardiovascolari. Si tratta di un effetto classe di tutti gli antinfiammatori non steroidei?


Un trial che valutava la capacità dei farmaci antinfiammatori non steroidei di ridurre il rischio di morbo di Azheimer (sponsorizzato dai National Institutes of Health americani) è stato interrotto anticipatamente. Nello studio, che doveva durare tre anni, erano stati arruolati circa 2500 pazienti randomizzati a placebo, naproxene o celecoxib. Lo studio è stato interrotto a causa delle notizie recenti sul celecoxib. Tuttavia l'analisi ad interim dei dati ha mostrato che era il naproxene ad essere associato ad un aumento del rischio di eventi cardiovascolari del 50% rispetto al placebo, mentre tale problema non risultava per il celecoxib. La FDA ha avvertito i pazienti di non assumere per periodi superiori ai 10 giorni prodotti da banco contenenti naproxene senza aver preventivamente consultato un medico.

Fonte: http://www.medscape.com/viewarticle/496403

Commento di Renato Rossi
Dopo il ritiro del rofecoxib e i recenti allarmi su celecoxib e valdecoxib sembra che anche un altro FANS, questa volta non cox-selettivo, mostri problemi di tossicità cardiovascolare. La cosa è abbastanza sorprendente se si pensa che il naproxene è in commercio da decenni ed è considerato un FANS sicuro dal punto di vista cardiovascolare. Quando nello studio VIGOR si evidenziò un aumento degli infarti nel gruppo trattato con rofecoxib rispetto al naproxene, si cercò di spiegare la cosa con un supposto effetto cardioprotettivo di quest'ultimo. I risultati di quest'ultimo studio sono sorprendenti anche perchè non sembra ci siano stati problemi per l'altro farmaco testato, il celecoxib. Gli studiosi paiono presi in contropiede e qualcuno si è chiesto se in realtà non sia tutta la classe dei FANS (selettivi e non selettivi) ad avere un effetto protrombotico. Dobbiamo ammettere che, nonostante molti di questi farmaci siano usati da decenni, ancora non ne conosciamo il profilo di sicurezza cardiovascolare?

Commento Di Luca Puccetti
I risultati contraddittori di vari trials destano sconcerto. Già in un precedente commento avevamo evidenziato che analizzando medline non sono emersi, prima dei coxib, studi di lunga durata sui FANS. Questo è dovuto al fatto che quando i FANS sono stati registrati i trials registrativi avevano altre modalità di conduzione e si richiedevano prove di tollerabilità solo nel breve-medio termine. Una volta registrati i FANS non erano più oggetto di interesse da parte dei produttori e gli studi erano in massima parte tesi ad evidenziare vantaggi competitivi marginali. In Italia, fatto salvo per i casi artrite e per le gravissime coxartrosi o gonartrosi, è molto raro trattare per un tempo prolungato i pazienti per sintomi osteoarticolari. Questa abitudine è invece molto più diffusa nei paesi anglosassoni dove spesso si usano dosi molto superiori a quelle mediamente impiegate in Italia. I nuovi coxib hanno scoperchiato la pentola. Per la loro supposta tollerabilità si è pensato che questi farmaci avrebbero potuto essere somministrati per terapie protratte. Sono stati dunque realizzati trials di lunga durata anche su modelli diversi da quelli dei pazienti artritici ed artrosici. Non è un caso infatti che la maggior parte degli allarmi provenga da studi sulla prevenzione della degenerazione della poliposi intestinale o dell'Alzheimer che hanno durate molto protratte. I risultati di questo studio sembrerebbero scompaginare anche l'ipotesi dello sbilanciamento protrombogeno svolto dai coxib per l'azione inibitoria sulla prostaciclina senza al contempo inibire il trombossano. Si era sostenuto che i FANS, per la loro non selettività sugli isoenzimi COX, agissero su tutte e due le catene metaboliche dando luogo ad una sorta di risultante nulla. Adesso questa teoria sembra messa in discussione dai risultati di questo studio in cui è il celecoxib che pare non dare problemi. A questi risultati si contrappongono quelli dello studio sulla prevenzione del cancro del colon nella adenomatosi che invece mostrano un aumento del rischio di eventi cardiovascolari proprio nei pazienti trattati con celecoxib rispetto al gruppo placebo. Tutto ciò mi suggerisce una notazione di metodo. Forse sarà bene che tutti noi ci ricordiamo sempre l'insegnamento di Geoffrey Rose: i risultati degli studi epidemiologici emergono tra gruppi di malati e si applicano solo al livello di gruppo di quei malati (e non di altri). Insomma è forte la solita tentazione di voler inquadrare i malati reali in qualcuno di questi gruppi con la speranza, da parte del buon medico, di trarne i risultati migliori in termini di efficacia e tollerabilità a vantaggio del proprio paziente che somiglia tanto a qualcuno di quei gruppi..... , ma di quale studio?

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