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Influenza aviaria: nessuna prova certa di trasmissione interumana
Inserito il 15 ottobre 2005 da admin. - infettivologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

I pochi casi di supposta trasmissione interumana del virus H5N1 non sono affatto provati e la resistenza in vitro all'oseltamivir può non essere clinicamente rilevante.

A chi giova tutta questa attenzione mediatica sull'influenza aviaria ? Le prove di una selezione di ceppi resistenti all'oseltamivir, ma sensibili allo zanamivir sono da ritenersi convincenti? Quale ruolo ha il circo mediatico nell'alimentare la psicosi dell'aviaria ? Ci sono delle sapienti manipolazioni o dei "semplici" suggerimenti interessati? E' giusto dare informazioni al pubblico per un evento contro il quale, se mai davvero avvenisse, ben poche sarebbero le difese?
Analizziamo bene le principali segnalazioni di contagio interumano da virus aviario, Se si ha la pazienza di scavare e non riportare meramente i lanci di agenzia contribuendo ad un enorme amplificazione mediatica di slogan allarmistici che hanno il merito di conferire grande notorietà a chi li scrive e a chi li pubblica, si scopre che le prove di un possibile contagio interumano sono assai labili e che molte altre spiegazioni diverse possono entrare in gioco. Partiamo dalla prima: siamo nel 2004 in Tailandia e i polli cominciano a morire e 3 giorni dopo il paziente indice si ammala. La madre, che viene da una lontana città, si reca dalla figlia malata e dopo 16-18 ore di cure non protette muore di polmonite. La zia del paziente indice diventa febbrile 5 giorni dopo la sorella e dopo 7 contrae la polmonite. Dai rilievi autoptici e dai tamponi viene isolato un virus H5N1 geneticamente uguale nei 3 casi familiari, ma anche del tutto simile a quello riscontrato negli uccelli e nelle numerose altre persone morte durante lo stesso focolaio . Ma dov'è la prova provata della trasmissione interumana? Ci sono molte altre possibili spiegazioni diverse dal contagio interumano per l'accaduto. Chi assicura che in Tailandia le notizie siano davvero riportate correttamente e che l'eliminazione dei polli infetti, delle loro deiezioni e secrezioni sia stata effettuata tempestivamente ed efficacemente dallo scenario del focolaio familiare? Come spiegare la morte a tempo di record della madre? E veniamo alla quattordicenne vietnamita ricoverata per infezione da virus H5N1 a Febbraio. La ragazza aveva accudito la sorella ventunenne e, per quanto è dato di sapere, non avrebbe avuto contatti con i polli. Lo studio delle varianti geniche dei virus isolati dalle due sorelle documenta che i geni per le neuroaminidasi sono identici, ma non quelli per l'emoagglutinina, risultati solo simili e soltanto in alcuni cloni virali isolati dalla ragazza ammalatasi dopo le cure prestate alla sorella. La paziente tra l'altro ha ricevuto prima una dose profilattica di 75 mg/die di oseltamivir per 4 giorni e successivamente una dose terapeutica di 75 mg/ due volte al dì di oseltamivir per ulteriori 7 giorni. La paziente migliora ed a metà Marzo 2005 viene dimessa. Dopo la somministrazione dell'oseltamivir da nessun campione viene rilevata la presenza del virus. Ma lavorando su un campione prelevato il 27 febbraio, ossia al termine dei 4 giorni di terapia profillatica e prima di iniziare la somministrazione terapeutica, viene isolato un ceppo virale con la sostituzione in posizione 274 di una istidina ad una tirosina e tale mutazione conferisce resistenza all'oseltamivir alle dosi mediamente ottenibili a seguito di somministrazione nell'uomo dell'antivirale. Ma niente paura, il ceppo risponde bene allo zanamivir, quindi la raccomandazione degli autori è di mettere da parte uno stock anche di zanamivir oltre che di oseltamivir per fronteggiare una pandemia.
Ma considerando l' elevata letalità dell'influenza H5N1 il fatto che la paziente sia stata dimessa e non sia deceduta nonostante queste evidenze di una possibile resistenza in vitro solleva dubbi sul significato clinico di tale resistenza. D'altro canto segnalazioni di ceppi resistenti all'oseltamivir anche nell'influenza umana sono già stati ampiamente descritti specialmente nei bambini che sono infettanti anche dopo 5 giorni di trattamento con l'antivirale (Lancet 2004;364:759-65) e dunque la possibile selezione anche di ceppi H5N1 resistenti in vitro ad oseltamivir è verosimilmente tanto più elevata quanto più ampio è l'uso dell'antivirale. Caso mai occorre chiedersi se non sia meglio usare subito dosi più elevate di quelle profilattiche proprio per ridurre le chances di selezionare ceppi mutanti resistenti. Se non sia il caso di riservare gli antivirali per la possibile pandemia, impedendo il loro uso abituale nella comune influenza, ove danno risultati non eccezionali sia in termini di riduzione di morbilità che di mortalità, ovvero riservarne l'uso solo nei casi ad altissimo rischio, proprio per evitare di bruciare i farmaci. Se, come qualcuno teme, si verificasse l'improbabile ricombinazione genica tra virus umano ed aviario in caso di coinfezione, la probabilità che si crei un supervirus letale e resistente agli antivirali aumentano quanto più sono i ceppi umani circolanti resistenti.
Autorevoli virologi ed epidemiologi (Webster, Dianzani) sconsigliano l'uso di vaccini in tutti i casi in cui si teme che il patogeno possa essere appunto un nuovo ricombinante (e in particolare un virus che abbia compiuto di recente il salto di specie): visto che, almeno in linea teorica, il vaccino potrebbe causare una produzione eccessiva di anticorpi e peggiorare la tempesta di citochine che sembra essere la vera causa dell'evoluzione maligna della malattia. Quindi paradossalmente vaccinarsi contro l'influenza comune parrebbe una strategia vincente proprio se la pandemia non arrivasse in quanto con minori casi di malati di "influenza normale" eventuali focolai viciniori a rischio di infezione aviaria avrebbero conseguenze meno pesanti sul sistema sanitario per il più contenuto livello di allarme sociale. Ma a che ed a chi serve creare tutto questo allarmismo? La notizia della notevole somiglianza del virus della spagnola con i ceppi aviari e l'ipotesi che più che di un pesante riarrangiamento del virus umano si sia trattato nel caso della pandemia del 1918 di un adattamento all'uomo di un virus aviario ha rinfocolato le preoccupazioni e alimentato la psicosi. La gente va in farmacia e chiede l'antidoto, crede che vaccinandosi contro l'influenza si acquisisca la protezione anche verso l'aviaria e così via. Se il virus H5N1 circola fin dagli anni 90 perchè proprio ora dovrebbe fare il salto di specie ed acquisire le caratteristiche per divenire suscettibile di causare una pandemia mortale?
Ci sono moltissimi interessi in gioco, interessi di dimensioni colossali. Questi interessi hanno convenienza che si crei la psicosi. Quello che sorprende sono le prese di posizione dell'OMS che lancia allarmi di ineluttabili piaghe catastrofiche per l'umanità. Ma concretamente che cosa possiamo fare ? Intanto controllare l'epidemia H5N1 negli uccelli e proteggere con misure adeguate il personale addetto, poi preparare la macchina organizzativa della protezione civile ed approntare una rete integrata con procedure precise per ogni attore della filiera assistenziale, sia territoriale che nosocomiale. Se i cittadini possono dunque far poco, perchè fomentare sui media notizie allarmistiche creando una psicosi di massa che potrebbe avere effetti devastanti in occasione della prossima "normale" epidemia influenzale? Ancora una volta si ripropone l'annoso problema dell'informazione medica al pubblico e della trasparenza sui possibili conflitti di interesse dei vari soggetti in gioco.

Luca Puccetti

Fonte: Nature 437, 1108 (14 October 2005) doi:10.1038/4371108a

Gli scenari apocalittici previsti dai mass-media richiamano alla mente il film "Virus letale" in cui però l'eroe, lottando contro tutti, con una capriola scientifica, alla fine riusciva a produrre un siero che salvava l'umanità.
Questo però non è un film dove si possa decidere il finale che più piace e in campi come questi è sempre forte la tentazione di enfatizzare i rischi per non essere poi accusati di scarsa preveggenza.
Vediamo di analizzare la questione per punti, cercando di fare chiarezza dove è possibile farla.
Le grandi pandemie influenzali si sono sempre manifestate, in genere a intervalli di 20-50 anni. Nella spagnola del 1917-18 (all'incirca 50 milioni di morti) era in gioco il virus H1N1, nell'asiatica del 1957 il ceppo era H2N2, ad Hong Kong nel 1968 il virus isolato era H3N2. Pensare che ne potrebbe insorgere una nuova è quindi abbastanza ragionevole. Ma nessuno può dire quando avverrà il rimaneggiamento del genoma virale e il cosiddetto "salto di specie". Questo è il primo punto da chiarire: nessuno può fare previsioni. Sappiamo che il virus H5N1 ha già sicuramente contagiato l'uomo: oltre ai casi riferiti in questi ultimi giorni sono stati descritti casi ad Hong Kong nel 1997, in Cambogia, Vietnam e altri paesi del sud-est asiatico nel 1988. Comunque allora l'infezione rimase abbastanza circoscritta.
Il secondo punto da esaminare è questo: il virus può trasmettersi da uomo ad uomo? Così com'è il virus H5N1 non è in grado, normalmente, di passare da un essere umano ad un altro. Il passaggio descritto da "Nature" dal ragazzo vietnamita alla sorella è frutto di una mutazione casuale, molto rara. Diverso sarebbe il discorso se con il rimaneggiamento, a cui può andare incontro, il virus acquisissse la possibilità di trasmettersi con contagio interumano, ma anche qui siamo nel campo delle ipotesi perchè nessuno può dire cosa avverrà in futuro. Il fatto che si siano trovati anticorpi anti H5 (e anche anti H7- H9- H11, ecc) nell'uomo con una percentuale variabile che arriva anche fino al 30-35% indica che la nostra specie non solo è già venuta in contatto con il virus dell'influenza aviaria ma che esso forse si è già trasmesso per contagio interumano provocando però una infezione lieve o del tutto inapparente. Potrebbe questa volta essere diverso? Nessuno lo sa, meno che mai nessuno sa se ciò avverrà quest'anno.
Il terzo punto da considerare è questo: se avvenisse una ricombinazione tra virus aviario e virus umano potrebbe formarsi un supervirus killer capace di fare milioni di morti? Quello che sappiamo di sicuro è che nelle precedenti pandemie influenzali la mortalità è stata elevata perchè il nuovo virus era altamente patogeno anche per soggetti giovani e sani, in grado di provocare gravi polmoniti necrotizzanti ed emorragiche con insufficienza respiratoria. Il nuovo virus farebbe altrettanto? Nessuno può dirlo. Le cifre allarmistiche di 100-150 milioni di morti fornite qualche settimana fa sono state ridimensionate dall'OMS a meno di 10 milioni. Attualmente in Europa le condizioni igieniche e sanitarie sono senz'altro migliori di quelle del passato e anche di quelle del sud-est asiatico, ma non si sa se questo potrebbe ridurre l'impatto della pandemia, anche se è ragionevole pensarlo.
L'ultimo punto critico è quello che riguarda la vaccinazione e i farmaci antivirali. Sgombriamo il campo da un malinteso iniziale: la vaccinazione antinfluenzale "normale" non ha nulla a che vedere con l'influenza aviaria. Una vaccinazione estesa a molti strati della popolazione, potenziando in qualche modo l'immunità, potrebbe ostacolare la diffusione dell'influenza dei polli? Forse, è logico pensarlo, ma ancora una volta non lo sappiamo.
Per quanto riguarda il vaccino specifico sarà bene dire chiaramente che per ora non esiste, ovviamente perchè non c'è ancora il virus temuto capace di produrre la pandemia. Si calcola che nel caso ciò avvenisse sarebbero necessari almeno 3 mesi per produrlo; nel frattempo, se di vera pandemia si tratta, molti sarebbero già infettati se non deceduti (in caso di virus particolarmente virulento). Per quanto riguarda infine gli antivirali oseltamivir e zanamivir potrebbero avere una qualche efficacia ma ancora un volta non ci sono dati certi perchè manca la prova provata su un numero sufficientemente ampio di soggetti per poter avere un casistica adeguata. Senza contare ovviamente che potrebbero emergere ceppi virali resistenti, il che rende ancor più difficile stabilire la reale efficacia della terapia farmacologica.
L'allarmismo di questi giorni è quindi giustificato o no? Troppi condizionali e troppe zone grige per poter dare una risposta.
I nostri padri dicevano che la virtù sta nel mezzo: da un lato non è giusto sottovalutare il rischio, dall'altro l'eccessiva enfasi di giornali e televisione crea solo panico e confusione.
Se è vero che, nel malaugurato caso di una pandemia, ben poco potremmo fare, si può ben rispolverare quel proverbio che recita:
"Se c'è rimedio perchè preoccuparsi? e se invece non ci possiamo fare nulla perchè preoccuparsi?"
Chi scrive si sbilancia in una previsione: anche questa stagione invernale passerà come tutte le altre e per l'anno prossimo sarà bella e pronta un'altra imminente "catastrofe" che terrà occcupati i mass-media. Chi parla più della SARS che un paio d'anni fa tenne banco per mesi e mesi?

Renato Rossi

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