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Nell'infarto miocardico con ST sopraelevato è preferibile l'angioplastica differita
Inserito il 29 marzo 2006 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Dopo una riperfusione farmacologica avvenuta con successo è preferibile aspettare 2-3 giorni che il vaso diventi angiograficamente stabile prima di effettuare la PCI.

Questo studio, effettuato da cardiologi parlermitani voleva determinare se nei pazienti colpiti da infarto ad ST sopraelevato (STEMI) nei quali la riperfuzione farmacologica ha avuto successo sia preferibile effettuare una PCI immediata oppure aspettare 2-3 giorni e permettere al vaso colpito di "raffreddarsi".
I pazienti erano elegibili per lo studio se l'esordio dei sintomi non datava più di 12 ore, se si trovavano in classe I-II di Killip e se avevano una finestra ecocardiografica accettabile. Tutti i pazienti ebbero una riperfusione farmacologica efficace (metà dose di rTPA associata a tirofiban, abciximab o una combinazione di entrambi gli inibitori della glicoproteina piastrinica IIb/IIIa).
Per lo studio sono stati reclutati 451 pazienti (età media 59 anni), randomizzati entro un'ora dalla riperfusione alla angioplastica (PCI) effettuata entro 2 ore oppure a PCI differita (da 12 a 72 ore dopo il ricovero, media 48 ore).
Tutti i pazienti al momento del ricovero vennero inoltre trattati con aspirina, e altre terapie standard del post-infarto (aceinibitori, betabloccanti, ecc.). Il follow-up è stato di 6 mesi.
La percentuale di stent (compresi numero, lunghezza e diametro) e di interventi di by-pass non differirono tra i due gruppi.
Ci furono 10 casi di emorragie maggiori nei 225 pazienti trattati con PCI immediata (inclusi 2 casi di emorragia intracranica) e 8 casi nei 226 pazienti trattati con PCI differita (nessun caso di emorragia intracerebrale).
A 6 mesi il 18,2% del gruppo PCI immediata aveva angina ed alterazioni elettrocardiografiche rispetto al 9,7% del gruppo PCI differita. La frequenza di restenosi del vaso trattato era rispettivamente del 22,7% vs 15,0% ( P = 0,01).
Nessuna differenza invece per la mortalità (7 decessi nel gruppo PCI immediata e 6 decessi nel gruppo PCI differita).
Gli autori concludono che dopo una riperfusione farmacologica avvenuta con successo è preferibile aspettare 2-3 giorni che il vaso diventi angiograficamente stabile prima di effettuare la PCI. In tal modo si riducono i costi e si può effettuare l'intervento in regime di elezione e non d'urgenza.

Fonte: Di Pasquale P et al. ACC 55th Annual Scientific Session: Abstract 2804-4. Presented March 13, 2006.

Commento di Renato Rossi

Continua la saga di quale sia l'approccio migliore al paziente con infarto miocardico acuto, dopo la pubblicazione recente dello studio ASSENT-4 e di un'ampia meta-analisi che suggerivano che la PCI primaria è preferibile alla PCI facilitata (trombolisi seguita dalla PCI entro 12 ore).
Secondo lo studio dei ricercatori italiani dopo una riperfusione farmacologica avvenuta con successo è preferibile aspettare 48-72 ore prima di effettuare l'angioplastica. In questo modo si permette al vaso occluso di diventare più stabile con riduzione delle restenosi e degli eventi ischemici. Da notare che la PCI effettuata in regime di elezione permette di studiare meglio e con più calma la situazione coronarica e di trattare più vasi di quanto non si riesca a fare in urgenza. Si può quindi prevedere una PCI immediata solo nei casi in cui la riperfusione farmacologica dovesse fallire, cioè non portasse ad una riduzione del sopraslivellamento di ST di almeno il 50% (PCI di salvataggio)?
E' ancora prematuro trarre conclusioni definitive.
Le linee guida attualmente considerano trombolisi e PCI equivalenti se avvengono entro 3 ore dall'inzio dei sintomi mentre se i sintomi durano da 3 a 12 ore consigliano l'angioplastica.
Tuttavia la materia è in continuo divenire e l'esame comparato di questi nuovi studi e di quelli futuri permetterà fra qualche anno di stabilire, sulla base di vari parametri (durata della sintomatologia, gravità dei sintomi, quadro clinico, disponibilità di strutture ospedaliere adeguate, ecc.), quale possa essere lo schema ottimale di trattamento (sia sul versante farcologico che su quello interventistico) nel paziente con infarto miocardico e più in generale con sindrome coronarica acuta.

Commento di Luca Puccetti

Occorre non equivocare! Questo studio non dimostra che la PCI facilitata è superiore alla PCI primaria, ma che se si deve fare una facilitata è meglio aspettare. In questo studio si è fatto uso di tirofiban, abciximab o una combinazione di entrambi gli inibitori della glicoproteina piastrinica IIb/IIIa nel lavoro dettagliato vedremo quale percentuale della combinazione sia stata usata e se sia stata ripartita equamente nei due gruppi. L'Assent IV ed altri studi ci hanno detto che la riperfusione in una grande percentuale di casi riesce a ripristinare un TIMI 3 pertanto può essere ragionevole che, una volta ripristinato il flusso, una PCI effettuata a bocce ferme possa essere più precisa e più completa riducendo le restenosi. Tuttavia vi sono molte altre variabili da considerare ad esempio se davvero i due gruppi fossero bilanciati o se il tipo (se ad eluizione e a che tipo di agente eluito) di stent posizionati fossero equamente ripartiti, se le lesioni alle biforcazioni (le lesioni alla biforcazione si presentano in circa il 15 per cento) fossero bilanciate, se si fosse stato trattato equamente nei due gruppi sia il ramo principale che il secondario, etc., etc. Comunque dopo questo studio i confronti tra facilitata e primaria dovrebbe essere effettuati con questa strategia di attesa nella facilitata. Se questi risultati fossero confermati la strategia della primaria potrebbe non essere più superiore alla facilitata e dunque potrebbe essere messa in dubbio la rete H24 delle sale emodinamiche ed i costi spaventosi che ne derivano.

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