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Alzheimer: farmaci in cerca di pazienti?
Inserito il 19 luglio 2006 da admin. - neurologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Il mild cognitive impairment rappresenta una frontiera di mercato più che un filone di ricerca?

Accade spesso che i dati degli studi randomizzati vengano presentati in modo da enfatizzarne gli aspetti favorevoli e da suggerire possibili usi "off-label".
Un esempio è costituito dai farmaci inibitori della colinesterasi. A sostenerlo è un gruppo di epidemiologi italiani dell'Istituto superiore di sanità che ha preso in esame i trial e le revisioni condotte dal 1996 al 2005 su donepezil, galantamina e rivastigmina criticando la qualità della maggior parte degli studi condotti e mettendone in dubbio i risultati.

Secondo i ricercatori, al momento dell'approvazione per il trattamento sintomatico dei pazienti affetti da malattia di Alzheimer moderata o lieve (avvenuta circa una decina di anni fa negli Stati Uniti e successivamente in Europa) erano disponibili solo dati parziali e di dubbia qualita. Ciò nonostante le campagne pubblicitarie promuovevano "risultati altamente significativi nelle condizioni cliniche e cognitive", facendo riferimento, in particolare, a un aumento nella proporzione dei successi da trattamento del 245%. Un dato che in recenti revisioni sistematiche è stato ridimensionato a tal punto da far concludere che gli effetti di tali farmaci sono minimi. Gli inibitori della colinesterasi sono stati sperimentati in lungo e in largo anche per la cura di numerose altre forme di demenza o deterioramento cognitivo. Secondo Marina Maggini, epidemiologa dell'ISS che ha condotto l'analisi Le case farmaceutiche sono intenzionate a espandere il mercato alle altre forme di demenza con studi che non garantiscono la trasferibilità alla pratica clinica, per i criteri di arruolamento molto restrittivi, i tempi troppo brevi per valutare l'andamento di malattie che hanno un decorso di diversi anni e per una scelta accurata di end pointi surrogati (come, per esempio, l'utilizzo di test o scale di valutazione del deterioramento cognitivo talora non validati per la particolare forma di demenza presa in esame). Questi comportamenti possono creare false aspettative di efficacia quando le prove non ci sono o sono molto deboli.
In particolare ciò riguarda la sperimentazione degli inibitori della colinesterasi nei pazienti affetti dal "mild cognitive impairment". Questa è una condizione che costituirebbe, secondo alcuni, un fattore di rischio per lo sviluppo di forme di demenza più gravi, ma su cui esiste ampio dibattito sul suo reale significato, poiché per altri ricercatori non ci sarebbero sufficienti prove epidemiologiche per considerare tale condizione una reale patologia. I ricercatori dell'ISS si domandano se si tratti di una nuova entità clinica o, piuttosto, di una nuova "frontiera" di mercato. Gli studi condotti non avrebbero, per i ricercatori dell'ISS messo in luce alcun beneficio, né in termini di miglioramento cognitivo né di ritardo nello sviluppo successivo di demenza, e pur tuttavia alcuni autori suggerivano che "i risultati emersi potevano stimolare la discussione tra il medico e paziente riguardo alla possibilità del trattamento", di fatto incoraggiandone l'uso anche in mancanza di prove di efficacia.

Fonti:
Maggini M, Vanacore N, Raschetti R. Cholinesterase inhibitors: drugs looking for a disease?
PLoS Medicine 2006;3(4) DOI: 10.1371/journal.pmed.0030140

S. Calmi Notiziario di FIRENZE MEDICA-SIMeF
Anno IV - 2006 - N.159

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