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Ramipril e rosiglitazone per la prevenzione del diabete. Lo studio DREAM.
Inserito il 17 settembre 2006 da admin. - metabolismo - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

In soggetti a rischio il rosiglitazone riduce a tre anni la comparsa di diabete mentre il ramipril non sembra in grado di ottenere gli stessi risultati.


Nello studio DREAM (Diabetes REduction Assessment with ramipril and rosiglitazone Medication) sono stati arruolati 5.269 soggetti (età > 30 anni) senza malattia cardiovascolare ma con ridotta tolleranza al glucosio oppure con alterata glicemia a digiuno. Secondo un disegno fattoriale 2x2 i pazienti sono stati randomizzati a ricevere ramipril (fino a 15 mg/die) oppure placebo e rosiglitazone (4 mg/die per i primi 4 mesi e in seguito 8 mg/die) oppure placebo. Follow-up medio di 3 anni. L'end-point primario dello studio era lo sviluppo di diabete oppure il decesso. Fra gli outcomes secondari veniva valutata anche la regressione a normoglicemia.
Il braccio dello studio che ha valutato l'effetto del ramipril è stato pubblicato nel NEJM [1], quello che ha valutato il rosiglitazone nel Lancet [2]. Gli studi sono stati pubblicati anticipatamente in occasione della loro presentazione al Meeting 2006 dell'European Association for the Study of Diabetes (EASD) tenutosi a Copenhagen.
L'incidenza dell'end-point primario non differiva tra ramipril e placebo: 18,1% vs 19,5% (HR 0,91; IC95% 0,81-1,03; P = 0,15). Tuttavia il ramipril mostrava una maggior regressione a normoglicemia (end-point secondario): HR 1,16; IC95% 1,07-1,27; P = 0,001. Alla fine dello studio i valori medi di glicemia a digiuno non differivano tra ramipril e placebo: 102,7 mg/dl vs 103,4 mg/dl, ma la glicemia dopo 120 minuti da un carico orale di glucosio era più bassa nel gruppo dell'aceinibitore (135,1 mg/dl vs 140,5 mg/dl). Un end-point secondario composto da infarto miocardico, stroke, scompenso cardiaco congestizio,
morte cardiovascolare, angina di nuova insorgenza e rivascolarizzazione non differiva tra ramipril e placebo.
Gli autori concludono che il ramipril, in soggetti con alterata glicemia a digiuno o con intolleranza al glucosio, non riduce dopo 3 anni di trattamento, lo sviluppo di diabete o i decessi anche se si assiste ad una maggior regressione a normoglicemia.
Nel braccio dello studio che ha valutato l'efficacia di rosiglitazone l'end-point primario si sviluppò nell'11,6% del gruppo rosiglitazone e nel 26,0% del gruppo placebo (HR 0,40; IC95% 0,35-0,46; P < 0,0001). Il 50,5%del gruppo rosiglitazone e il 30,3% del gruppo placebo divenne normoglicemico (HR 1,71; IC95% 1,57-1,87). Gli eventi cardiovascolari furono simili tra i due gruppi (2,9% nel gruppo rosiglitazone e 2,1% nel gruppo placebo; P = 0,08) ma nel gruppo rosiglitazone si osservò una frequenza statisticamente maggiore di scompenso cardiaco (0,5% vs 0,1%; P = 0,01).


Fonte:
1. The DREAM Trial Investigators. Effect of Ramipril on the Incidence of Diabetes.
N Engl J Med. 2006 Oct 12; 355:1551-1562.
2. The DREAM Trial Investigators. Effect of rosiglitazone on the frequency of diabetes in patients with impaired glucose tolerance
or impaired fasting glucose: a randomised controlled trial. Lancet 2006 Sept 23; 368:1096-1105.

Commento di Renato Rossi

Il razionale dello studio DREAM si basa sul fatto che studi precedenti avevano suggerito che sia gli aceinibitori che i glitazoni possono ridurre il rischio di sviluppo di diabete in soggetti a rischio. Negli studi HOPE, PEACE ed EUROPA si ebbe una riduzione del rischio di sviluppo di diabete nei gruppi trattati con aceinibitore di circa il 15-34%.
Anche una successiva meta-analisi di 12 RCT [1] suggeriva che aceinibitori e sartani sono in grado di prevenire lo sviluppo di diabete. Tuttavia nessuno di questi studi era stato disegnato specificamente per dimostrare questo end-point e le evidenze derivavano da analisi secondarie. Il braccio dello studio DREAM che ha valutato l'efficacia di ramipril in pazienti a rischio di diabete (intolleranza al glucosio o alterata glicemia a digiuno) sconfessa però queste speranze: dopo tre anni di trattamento non vi era nessuna differenza per quanto concerne l'insorgenza dei nuovi casi di diabete tra chi assumeva l'aceinibitore e chi assumeva il placebo. Anche se vi era una maggior percentuale di soggetti che ritornavano normoglicemici con il trattamento va ricordato che si tratta di un end-point secondario e che l'interpretazione dello studio deve basarsi essenzialmente sugli end-point primari. In questo senso lo studio ha dato esito negativo. Una spiegazione di tale risultati potrebbe essere che 3 anni di follow-up sono troppo pochi per permettere all'aceinibitore di sviluppare la sua azione preventiva sullo sviluppo di diabete, ma potrebbe anche essere che questi farmaci sono inefficaci, almeno da questo punto di vista. Con l'aceinibitore non si è avuta neppure una riduzione degli eventi cardiovascolari e questo contrasta con i risultati dello studio HOPE, ma probabilmente dipende dal fatto che nel DREAM erano arruolati pazienti senza patologia cardiovascolare, quindi a rischio minore rispetto a quello dell'HOPE trial.
Un discorso in parte diverso si deve fare per il rosiglitazone. Già studi precedenti con il troglitazone avevano dimostrato che questi farmaci possono ridurre il rischio di progressione a diabete in soggetti a rischio, ma il farmaco era stato ritirato dal commercio per la sua azione epatotossica. Nel DREAM trial il rosiglitazone ha ridotto il rischio di sviluppo di diabete in maniera statisticamente significativa rispetto al placebo: in pratica ogni 1000 pazienti a rischio trattatti con rosiglitazone si prevengono 144 casi nuovi di diabete (NNT = 6,9). Tuttavia non si è evidenziata alcuna riduzione dei decessi (1,1% vs 1,3%; P = 0,7) nè degli eventi cardiovascolari totali (mentre è stato rilevato un aumento del rischio di scompenso cardiaco che passava dallo 0,1% del gruppo placebo allo 0,5% del gruppo rosiglitazone). Come mai ad una riduzione dei casi di diabete non corrisponde un beneficio in termini di end-point "hard"? Sicuramente lo studio non aveva nè la potenza statistica nè la durata necessarie per evidenziare tali benefici.
Tuttavia due editorialisti [2] fanno notare che se si assume che per ogni 20 mg/dl circa di riduzione della glicemia corrisponda una riduzione del rischio cardiovascolare del 20%, i 9 mg/dl della glicemia a digiuno a favore del rosiglitazone si traducono in una riduzione del rischio di poco meno del 9%. Insomma per prevenire un evento cardiovascolare bisogna trattare per 3 anni con rosiglitazone ben 554 soggetti. Come si vede un NNT molto elevato. L'editoriale fa notare ancora che non si sa se alla sospensione del farmaco continuino i benefici e neppure sono noti i rischi a lungo termine della terapia con glitazoni, soprattutto sul versante cardiovascolare. Tutto questo, associato anche all'alto costo della terapia, porta a concludere che è improbabile che i medici considerino il rosiglitazone una scelta per i pazienti con alterato metabolismo glicidico. Per il momento la strada migliore rimane quella di insistere sui corretti stili di vita. Aggiungiamo che una meta-analisi di 9 RCT [3] ha dimostrato che interventi sullo stile di vita (dieta, attività fisica) sono in grado di prevenire la progressione a diabete: bisogna trattare per poco più di 3 anni circa 7 soggetti ad alto rischio con dieta ed attività fisica per prevenire lo sviluppo di un caso di diabete tipo 2. Si tratta di un NNT paragonabile a quello del rosiglitazone ottenuto però in modo estremamente economico, senza usare farmaci e senza correre il rischio di effetti collaterali. Inoltre abituare i pazienti ad adottare un sano stile di vita senza ricorrere alla "pillola magica" comporta ripercussioni virtuose a lungo termine, mentre la via farmacologica può far correre il rischio opposto perchè il paziente, credendosi "protetto" dal farmaco, può continuare a perpetuare comportamenti dannosi per la salute. Sarebbe interessante uno studio che paragonasse stile di vita a farmaci (rosiglitazone, metformina). Chi ne uscirebbe vincente? In un trial di alcuni anni fa si dimostrò che, in soggetti a rischio, si previene, in 3 anni, un caso di diabete ogni 6,9 pazienti trattati con modificazioni dello stile di vita e ogni 13,9 trattati con metformina [4].

Bibliografia
1. Abuissa H et al. Angiotensinconverting enzyme inhibitors or angiotensin receptor blockers for prevention of type 2 diabetes: a meta-analysis of randomized clinical trials. J Am Coll Cardiol 2005;46:821-6.
2. Tuomilehto J, Wareham N. Glucose lowering and diabetes prevention: are they the same? Lancet 2006 Oct 7; 368: 1218-1219
3. K Yamaoka, T Tango. Efficacy of lifestyle education to prevent type 2 diabetes. A meta-analysis of randomized controlled trials. Diabetes Care 2005 28: 2780-2786.
4. Diabetes Prevention Program research Group. Reduction in the incidence of type 2 diabetes with lifestyle intervention or metformin. N Engl J Med 2002 Feb 7; 346:393-403.

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