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La terapia antiaggregante, specie se combinata, aumenta il rischio emorragico GI
Inserito il 08 dicembre 2006 da admin. - gastroenterologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Il trattamento antitrombotico sta divenendo sempre più spesso aggressivo e le terapie combinate aumentano sensibilmente il rischio di emorragie gastrointestinali.

Allo scopo di valutare il rischio di eventi avversi gastrointestinali severi in relazione alla terapia con agenti antiaggreganti e anticoagulanti, impiegati da soli od in associazione tra loro è stato realizzato uno studio caso controllo sulla popolazione della contea danese di Funen che annovera 470000 abitanti.
I 1443 casi con sanguinamenti gravi identificati tra il 2000 ed il 2004 sono stati appaiati con 57720 controlli omogenei per età e sesso
L’oucome principale era rappresentato dalla esposizione a basse dosi di aspirina, a clopidogrel, dipiridamolo, antagonisti della vitamina K, e trattamenti antitrombotico combinati.
Gli odds ratios (aggiustati) relativi alle associazioni tra uso di farmaci e sanguinamento gastrointestinale sono risultati: 1.8 (95%CI 1.5 - 2.1) per le basse dosi di aspirina, 1.1 (0.6 -2.1) per il clopidogrel, 1.9 (1.3 - 2.8) per il dipiridamolo, e 1.8 (1.3 - 2.4) gli antagonisti della vitamina K. I valori corrispondenti per le associazioni di farmaci antitrombotici sono risultati 7.4 (3.5 - 15) per clopidogrel e aspirina, 5.3 (2.9 - 9.5) per gli antagonisti della vitamina K e l’ aspirina, e 2.3 (1.7 - 3.3) per il dipiridamolo e l’ aspirina. I numeri di trattamenti anni necessari per determinare un caso in eccesso variano da 124 per la combinazione clopidogrel-aspirina a 8800 per il clopidogrel da solo. Durante lo studio, l’esposizione della popolazione presa in esame ai regimi antitrombotico combinati è aumentata del 425%.
Gli autori concludono che il trattamento antitrombotico sta divenendo sempre più spesso aggressivo e che le terapie combinate aumentano sensibilmente il rischio di emorragie gastrointestinali.

Fonte:
Hallas J et al. Use of single and combined antithrombotic therapy and risk of serious upper gastrointestinal bleeding: population based case-control study. BMJ 2006 Oct 7;333:726, doi:10.1136/bmj.38947.697558.AE (published 19 September 2006)




Commento di Luca Puccetti

Sempre più spesso i pazienti a rischio di eventi cardiovascolari vengono sottoposti a regimi intensivi antitrombotici che comportano l’associazione di più farmaci. La superiorità del warfarin nella prevenzione della trombosi venosa non è stata scalfita negli anni, ma per quanto concerne il distretto arterioso gli antiaggreganti sembrano avere un più favorevole profilo rischio-beneficio. La pratica di impiantare sempre più spesso stent ad eluizione comporta la somministrazione per periodi di almeno 12 mesi di una doppia terapia antiaggregante. Senza voler entrare nel merito della querelle sull’opportunità di impiantare nell’angina stabile gli stent ad eluizione piuttosto che quelli bare-metal, dato che la materia è già stata ampiamente trattata in altri articoli, qui preme ribadire che la mancata effettuazione per lunghi periodi della doppia antiaggregazione comporta un altissimo rischio di restenosi. Per questo ed altri motivi la pratica dell’associare più farmaci per conseguire una maggior effetto antitrombotico viene sempre più spesso praticata. Per la verità, fatto salvo il caso degli stent ad eluizione, la superiore protezione antitrombotica della terapia di associazione non è stata sempre confermata. I risultati di un RCT su una popolazione molto ampia costituita da 15603 pazienti con CAD o con fattori di rischio per CAD dimostrano che a 28 mesi il clopidogrel (75 mg/die) associato ad ASA (75- 162 mg7die) non ha portato a significative variazioni sull’end point composito primario (IMA più ictus +morte cardiovascolare) rispetto all’ASA più placebo. Altri lavori come CAPRIE, CURE e CLARITY dimostrano una superiorità della doppia antiaggregazione, ma trattasi spesso di casi sottoposti a PCI. La sempre maggiore prevalenza di fibrillazione atriale rende spesso necessario associare il warfarin ad agenti antiaggreganti ove coesista una CAD.
I casi della presente analisi presentavano decisamente un profilo di rischio per sanguinamento gastroenterico molto più elevato rispetto ai controlli. Il 36,2% dei casi vs il 10,7% dei controlli aveva fatto uso di FANS, il 13,2% vs il 5,9% aveva fatto uso di SSRI, il 3,7% vs 0,9% aveva già avuto sanguinamenti a carico del tratto GI prossimale, il 13,2% vs il 3,9% aveva sofferto di ulcera peptica non complicata, il 6,7% vs 1,9% era stato sottoposto ad eradicazione HP, ed inoltre i casi presentavano un’incidenza significativamente più elevata di diabete, CAD, cirrosi, insufficienza renale. Questi dati confermano I ben noti fattori di rischio per sanguinamenti dal tratto GI prossimale. I limiti dello studio sono che non erano disponibili dati relativi al consumo di OTC, alcol e fumo e che non è del tutto da escludere un bias di selezione legato al fatto che i pazienti sottoposti a terapia antitrombotica, a maggior ragione se combinata, siano stati più sorvegliati e più spesso ricoverati, anche se l’aver considerato solo gli eventi maggiori può aver ridotto un tale rischio. I risultati parlano chiaro: la doppia terapia antiaggregante, specialmente se condotta con clopidogrel ed ASA aumenta significativamente il rischio di sanguinamenti GI. Questo elemento, assieme ai recenti dati sull’esito long term degli stent ad eluizione ed alla comprovata necessità di proseguire a lungo la doppia antiaggregazione per evitare la restenosi dello stent devono spingere ad una riflessione globale sulla strategia da applicare nell’angina stabile. Occorre inoltre osservare che in base ai risultati del presente studio il clopidogrel da solo si è dimostrato molto sicuro e che paradossalmente l’associazione ASA e warfarin è risultata meno pericolosa in termini di rischio emorragico GI rispetto all’associazione clopidogrel ASA. Nel caso che si debba procedere ad una terapia antitrombotica di associazione appare opportuno procedere ad una gastroprotezione con PPI, specie nei soggetti a maggior rischio quali gli anziani, i soggetti con pregressa ulcera peptica o pregressi eventi Gi maggiori, quelli che fanno uso di FANS o SSRI o con comorbidità (CAD, IRC, cirrosi, consumo di alcol, BPCO, diabete).


Referenze
NEJM 2006; 354:1706-1717

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