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Nel melanoma avanzato oblimersen va meglio se LDH è normale
Inserito il 24 giugno 2007 da admin. - dermatologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

L'aggiunta di oblimersen alla dacarbazina è risultata associata con un miglioramento di outcomes clinici in pazienti con melanoma avanzato e con un aumento della sopravvivenza globale nei pazienti che non presentano livelli plasmatici elevati di LDH prima del trattamento.


La resistenza alla chemioterapia nel melanoma è stata correlata ad un effetto antiapoptotico esercitato dalla proteina Bcl-2. Al fine di verificare se l'inattivazione dell'azione della proteina Bcl-2 mediante un oligonucleotide antisenso (oblimersen sodico) potesse migliorare l'efficacia della chemioterapia sistemica nel melanoma avanzato, 771 pazienti con melanoma avanzato, naïve a trattamenti chemioterapici, sono stati randomizzati ad un trattamento con dacarbazina (1,000 mg/m2) da sola o preceduta da una infusione endovenosa continua della durata di 5 giorni con oblimersen sodico (7 mg/kg/d), ripetuto ogni 3 settimane fino ad otto cicli. L'end point primario era la sopravvivenza.
Rispetto al braccio trattato con la sola dacarbazina quello che aveva ricevuto il pretrattamento con oblimersen è risultato associato con una tendenza verso un miglioramento della sopravvivenza a 24 mesi (mediana: 9.0 vs 7.8 mesi; P = 0.077) che ha sfiorato, senza raggiungerla, la significatività e con un incremento significativo della sopravvivenza libera da malattia (mediana, 2.6 vs 1.6 mesi ; P < 0.001), della risposta globale (13.5% vs 7.5%; P = 0.007), della risposta completa (2.8% vs 0.8%) e della risposta duratura (7.3% v 3.6%; P = 0.03). E' stata osservata un' interazione significativa tra i livelli basali di LDH ed il trattamento nel senso che oblimersen si associava ad un miglioramento della sopravvivenza nei pazienti nei quali i livelli basali di LDH non erano elevati (mediana della sopravvivenza globale: 11.4 vs 9.7 mesi; P =0 .02). Neutropenia e trombocitopenia sono risultate più frequenti nel gruppo trattato anche con oblimersen, ma ciò non è risultato associato con un incremento delle infezioni severe o dei sanguinamenti. Gli Autori concludono che l'aggiunta di oblimersen alla dacarbazina è risultata associata con un miglioramento di outcomes clinici in pazienti con melanoma avanzato e con un aumento della sopravvivenza globale nei pazienti che non presentavano livelli plasmatici elevati di LDH prima del trattamento.

Fonte:
Journal of Clinical Oncology, 2006; 24: 4738-4745


Commento di Antonella Romanini (Presidente dell'Associazione contro il melanoma)

Bedikian et al. hanno pubblicato lo studio più grosso fino ad ora condotto su pazienti affetti da melanoma metastatico: 771 in 3 anni. Si tratta di uno studio randomizzato multicentrico prospettico che confronta un trattamento ritenuto standard per questo gruppo di pazienti (dacarbazina) con un trattamento di associazione dacarbazina e oblimersen sodico. Il razionale dell’associazione deriva da uno studio di fase II (1) e da diversi studi in vivo e in vitro (2, 3). L’iperespressione di BCL-2, individuata nell’80% dei casi di melanoma, sarebbe responsabile della resistenza alla chemioterapia in questa malattia. BCL-2 è una proteina antiapoptotica che sarebbe in grado di bloccare la liberazione di Citocromo C dai mitocondri in risposta a un danno cellulare quale quello indotto dai chemioterapici. Una volta liberato, citocromo C attiva tramite Apaf-1 la via delle caspasi che porta a morte cellulare programmata (apoptosi). Oblimersen sodico, un oligonucleotide antisenso anti BCL-2 è in grado di ridurre la trascrizione del gene in mRNA e la produzione della proteina per 4 giorni, con un minimo dopo due favorendo così l’azione apoptotica di un chemioterapico somministrato successivamente. Nello studio di Bedikian et al, il braccio sperimentale riceveva l’associazione oblimersen sodico alla dose di 7 mg/Kg/die in infusione continua per 5 giorni, al termine dei quali veniva somministrata dacarbazina alla dose di convenzionale di 1000 mg/mq, ogni 3 settimane. Nello studio non è stato osservato nessun vantaggio in termini di sopravvivenza tra i due bracci, a posteriori però, si è notato che nei pazienti in cui valori di LDH erano normali (508), le risposte obiettive e le risposte della durata superiore a 6 mesi raddoppiavano, mentre quadruplicavano le risposte complete, la mediana di sopravvivenza era 11.4 vs 9.7 mesi (p=0.02) e la mediana della sopravvivenza libera da malattia 3.1 vs 1.6 mesi (p<0.001) nel braccio sperimentale rispetto a quello di riferimento. Questo studio pone diversi problemi: il trattamento sperimentale ha dato 11 risposte complete su 386 (3%) pazienti trattati e 28 risposte su 386 (7%) di durata superiore o uguale a 6 mesi. Nel sottogruppo con LDH basale normale le risposte complete sono state 9 su 261 pazienti (3%) e quelle di durata superiore o uguale a 6 mesi 25 su 261 pazienti (<10%). Le percentuali nel braccio di riferimento sono state <1%, <4%, <1% e 4%, rispettivamente. Non c’è dubbio che il trattamento sperimentale sia superiore al trattamento di riferimento rispetto ai parametri considerati, ma i risultati sono ben lontani dall’essere entusiasmanti, in quanto sono paragonabili a quelli ottenibili con una chemio immunoterapia, per altro più tossica della combinazione oblimersen dacarbazina che si è rivelata molto ben tollerata nello studio. Dei 9 pazienti lungo sopravviventi oltre un anno trattati con la combinazione oblimersen dacarbazina, 4 su 386 sono vivi e liberi da malattia dopo 3 anni. Il rapporto costi/benefici non sembra giustificare l’impiego su larga scala di questa combinazione. Tuttavia resta il dubbio che un sottogruppo di pazienti, con LDH normale, con BCL-2 elevato, con metastasi localizzate non al fegato possa trarre un beneficio considerevole da questo trattamento. Resta anche il dubbio che l’associazione scelta non fosse la più indicata a evidenziare l’attività della combinazione. Si rischia così di aver trattato inutilmente centinaia di pazienti ed aver scartato per inefficacia una molecola potenzialmente utile nella terapia di pazienti affetti da una malattia che ad oggi non ha trattamenti efficaci.

Referenze

1) Jansen B et al. Lancet 356:1728, 2000
2) Jansen B et al Nat Med 4:232, 1998
3) Klasa RJ et al. Antisense Nucleic Acid Dev 12:193, 2002

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