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Ipertransaminasemia asintomatica: che fare ?
Inserito il 01 novembre 2007 da admin. - epatologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

E' stata pubblicata la consensus conference, coordinata dall'ISS, sulle ipertransaminasemie asintomatiche non alcol e non virus correlate nei soggetti adulti che fornisce indicazioni pratiche sul percorso appropriato.

L’ipertransaminasemia è un indicatore biochimico di danno epatocellulare discretamente sensibile ma del tutto aspecifico, caratteristico di molte e diverse condizioni cliniche. Dato che il dosaggio delle transaminasi è un esame di routine a larga diffusione, il rilievo di aumento delle transaminasi è un dato di laboratorio molto frequente. Il rilievo di livelli di transaminasi superiori alla norma innesca di solito un iter diagnostico finalizzato a stabilire diagnosi e trattamento. In studi di popolazione condotti in Italia, la prevalenza di un’alterazione persistente non virus, non alcol correlata di segni clinico bioumorali1 o bioumorali2 di danno epatico si aggira fra il 3 e il 5%. Tale condizione, dunque, è un problema relativamente frequente e può essere indicativo di malattie molto diverse per prevalenza, eziologia, prognosi e prospettive terapeutiche, come, per esempio, steatosi non alcolica, celiachia, emocromatosi, malattia di Wilson eccetera.
I percorsi diagnostici adottati per identificare l’eziologia di una ipertransaminasemia non virus, non alcol correlata sono spesso inappropriati o diversi in situazioni cliniche simili o uguali. Obiettivo generale della consensus è fornire informazioni che permettano di individuare, in un soggetto adulto, le cause di ipertransaminasemia non virus, non alcol correlata.
Il documento è strutturato in quesiti e relative risposte, che costituiscono di fatto gli obiettivi specifici. Destinatari sono i medici di medicina generale e i medici dei centri trasfusionali, primi ad affrontare il problema di un adulto asintomatico con innalzamento dei livelli di transaminasi non provocato da virus o alcol.

1) Qual è la definizione più appropriata di ipertransaminasemia non virus, non alcol correlata?

La categoria nosografica ipertransaminasemia persistente non virus, non alcol correlata include soggetti adulti senza segni fisici, sintomi o storia di malattia del fegato manifesta, con valori di una o delle due transaminasi che si mantengano superiori ai limiti di riferimento per almeno quattro settimane.

2) Qual è la prevalenza dell’ipertransaminasemia non virus, non alcol correlata nella popolazione generale?

Sebbene dai dati della letteratura disponibili non sia possibile dedurre una stima diretta della prevalenza della ipertransaminasemia non virus, non alcol correlata, nella popolazione generale italiana sembra verosimile una prevalenza tra il 3 e il 6%.

3) Quali sono le principali cause di ipertransaminasemia non virus, non alcol correlata?

Le principali cause di danno epatico non virus, non alcol correlato che possono
determinare un aumento cronico dei livelli delle transaminasi sono le seguenti:

1. steatosi e steatoepatite non alcolica (non alcoholic fatty liver disease, NAFLD)
2. celiachia
3. emocromatosi
4. malattia di Wilson
5. farmaci
6. epatite autoimmune
7. cirrosi biliare primitiva
8. colangite sclerosante primitiva
9. malattie virali, diverse da quelle provocate dai virus epatotropi maggiori
10. deficit di alfa-1 antitripsina
11. altre cause (per esempio: patologia muscolare, malattie della tiroide, insufficienza corticosurrenalica, macroenzimi epatici)

pertanto un'ipertransaminasemia persistente non virus, non alcol correlata può essere dovuta a cause diverse. Fra queste, quella più frequente è la NAFLD, seguita dalla celiachia e dall’emocromatosi. Anche i farmaci possono causare patologia del fegato cronica o protratta e dunque plausibilmente ipertransaminasemia persistente, ma non sono disponibili dati epidemiologici di prevalenza.

4) Un approccio diagnostico sistematico alle ipertransaminasemie persistenti non virus, non alcol correlate consente di identificare condizioni per le quali esistano interventi terapeutici efficaci?

La diagnosi eziologica delle cause di ipertransaminasemia non virus, nonalcol correlata consente interventi terapeutici in grado di ridurre mortalitàe morbilità per causa specifica; parziale eccezione è rappresentata dalle NAFLD, per le quali le prove di efficacia terapeutica sono ancora limitate a end point surrogati.

5) Qual è il percorso diagnostico più appropriato per risalire da una ipertransaminasemia persistente non virus, non alcol correlata alla patologia causale?

vedi figura

6) Nei soggetti con ipertransaminasemia persistente non virus, non alcol correlata è preferibile prevedere un approccio diagnostico iniziale di primo livello o demandare il problema
direttamente a un ambito specialistico?


La valutazione sistematica di primo livello dei pazienti con ipertransaminasemia non virus, non alcol correlata, sulla scorta di criteri predefiniti sia per la identificazione di caso sia per la strategia diagnostica, permette nella maggior parte dei casi di orientare una corretta diagnosi.


Fonte Istituto Superiore di Sanità , Piano nazionale per le Linee-guida.

scarica il documento completo: http://www.pillole.org/public/aspnuke/downloads.asp?id=241

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1 Commento - 5/5 - Voti : 1
Commenti Inserito il 08 novembre 2007 alle 17:13:42 da RGR.  5/5
 

IPERTRANSAMINASEMIA
La possibilità sempre più frequente ai nostri giorni di effettuare controlli degli esami ematochimici, come check-up periodico, pone spesso il medico di fronte all’evenienza del riscontro di una elevazione degli enzimi indici di citolisi epatica, ovvero dell’innalzamento delle transaminasi (AST/ALT) e/o della fosfatasi alcalina (FA) o della gamma-GT (γ-GT). Sebbene la presenza di tali enzimi sia ubiquitaria nell’organismo, la loro non rara alterazione in soggetti affetti da un’epatopatia cronica a differente etiologia esprime in genere la presenza di un danno epatico.
E’ buona norma in generale, dopo un primo riscontro di elevazione degli enzimi indice di citolisi, anche nella completa assenza di qualsivoglia sintomatologia, effettuare un nuovo controllo ematochimico al fine di confermare la reale presenza dell’alterazione, in quanto spesso sono frequenti alterazioni dovute ad errori di laboratorio. Qualora l’alterazione sia confermata e dunque reale, è opportuno valutare l’entità dell’elevazione. Infatti, se l’innalzamento dei valori transaminasemici è compreso al di sotto di due volte il valore massimo normale, e non sono note le condizioni cliniche particolari che si associano all’incremento di tali enzimi e qui di seguito riportati in elenco (Tabella I), tale alterazione non è da considerare significativa. Infatti, il valore normale di laboratorio è da considerare la media ± 2 SD; ne consegue che il 5% dei soggetti normali presenta valori esclusi dai limiti massimi e minimi del range normale ed il 2.5% di questi ultimi presenta risultati al di sopra del valore massimo normale.
Le condizioni che in genere si associano con una permanente elevazione sostenuta dei valori transaminasemici sono così riassumibili:

Tabella I

Cause epatiche (I) ed extraepatiche (II)
I
Abuso di alcool etilico
Assunzione di farmaci
Epatite cronica da HBV o da HCV
Steatosi epatica e steatoepatite non alcolica
Epatite autoimmune
Emocromatosi
Morbo di Wilson
Deficit di alfa-1-antitripsina
II
Morbo celiaco
Alterazione congenita del metabolismo muscolare
Malattie muscolari
Esercizio fisico protratto

TRANSAMINASI (AST/ALT)
I livelli di transaminasi sono indici di citolisi epatocellulare e sono espressione più fedele del danno epatico in atto. I loro valori plasmatici sono in genere compresi tra 0 e 40 U/L. Ogni laboratorio ha comunque degli standard di riferimento e ogni singola misurazione va comparata con i livelli del laboratorio. Inoltre, i valori transaminasemici, secondo alcuni, dovrebbero essere corretti in base al sesso e all’indice di massa corporea (BMI), anche se è norma comune che tali correzioni non vengano quasi mai effettuate.
Le aspartato-aminotransferasi (AST) sono attività enzimatiche molto concentrate negli epatociti, ma è possibile riscontrarle anche nel miocardio, nelle fibrocellule del muscolo, nel tessuto renale, nell’encefalo, nelle cellule pancreatiche e nei polmoni, oltrechè nei leucociti e nei globuli rossi. Le alanino-aminotransferasi (ALT) sono estremamente concentrate nel fegato e sono quindi l’espressione più fedele di danno epatocellulare. Ambedue le attività enzimatiche sono contenute all’interno degli epatociti e si riversano nel sangue circolante in presenza di un danno epatico, ovvero di una vera e propria citolisi epatica associata a rottura della membrana epatocellulare. L’elevazione persistente di tali attività enzimatiche richiama il medico ad un approfondimento delle condizioni epatiche.
L’anamnesi in tal caso costituisce il primo passo per chiarire l’origine di un’eventuale alterazione dei valori transaminasemici. Una storia d’abuso alcolico più o meno protratto nel tempo e con entità giornaliera variabile può essere spesso riscontrata nella storia clinica di questi pazienti. L’abuso alcolico può essere anche sottaciuto, per cui, in assenza di altri fattori etiologici possibili alla base del danno, esso deve essere messo in luce anche attraverso un colloquio approfondito e mirato a tal scopo; infatti tali soggetti negano frequentemente l’evidenza di un introito, in quanto non desiderano rivelare un comportamento comunemente considerato disdicevole e con gravi conseguenze anche di tipo sociale.
Altre condizioni patologiche sono quelle riportate in tabella I e a tale scopo vari altri elementi possono confermare l’eventuale presenza di tali alterazioni. Più in particolare, in presenza di un’epatite di tipo B o C la ricerca dell’antigene HBsAg, dell’anticorpo di superficie e dell’anti-HBc, oppure la ricerca degli anticorpi anti-HCV e del corredo genetico HCV-RNA potranno essere di notevole ausilio per la diagnosi. Per quanto concerne l’emocromatosi, la ricerca dei valori della sideremia, della percentuale di saturazione della transferrina e della ferritinemia saranno dirimenti ai fini diagnostici. La ricerca dei livelli plasmatici di ceruloplasmina farà invece porre diagnosi di morbo di Wilson, mentre gli elevati valori di proteine sieriche indicheranno una probabile epatite autoimmune, oppure un deficit di alfa-1-antitripsina. I test supplementari per la diagnosi in tali casi possono essere la ricerca della tipizzazione del fenotipo ZZ per il deficit di alfa-1-antitripsina, alterazione che spesso si associa all’abbassamento spiccato dei valori di alfa1-globuline. Il morbo celiaco, viceversa, potrà essere confermato dal riscontro della positività degli anticorpi anti-endomisio ed anti-gliadina; infine, per i disordini del tessuto muscolare deporranno le alterazioni enzimatiche a carico dell’aldolasi e della creatin-kinasi.
Cause epatiche di elevazione dei livelli sierici di transaminasi.
Abuso di alcool etilico.
L’effettuazione di una corretta diagnosi di abuso alcolico non è particolarmente facile, in quanto la compliance del paziente etilista non permette in genere un corretto e precoce riconoscimento dello stato di abuso alcolico, soprattutto per la frequente reticenza di tali soggetti ad ammettere con sincera onestà uno stato di etilismo persistente. Ad ausilio per la diagnosi può essere il rapporto di De Ritis delle transaminasi a favore della AST, con valori in genere di AST:ALT di 2:1. In genere i bassi livelli di ALT sono correlati alla deficienza di piridossal-5-fosfato, tipica dei soggetti con abuso etilico.
Altro elemento che facilita la diagnosi risiede nell’incremento dei valori di γ-GT, peraltro non sempre presente in tutti i casi di etilismo.
I livelli di AST in genere non superano mai di otto volte i valori massimi normali, mentre quelli di ALT non vanno mai in genere al di sopra di 5 volte. Anzi, non è infrequente trovare pazienti con grave epatopatia etilica che presentano livelli quasi normali di ALT.
Assunzione di farmaci.
L’elevazione dei valori di ALT è spesso correlata ad intossicazione farmacologica, per cui una corretta anamnesi farmacologica non deve mai mancare nei casi di ipertransaminasemia di natura da determinare.
Quasi tutti i farmaci comunemente impiegati possono causare un innalzamento delle transaminasi; fra i farmaci di comune impiego si possono in questa sede ricordare i FANS, gli antibiotici, gli antiepilettici, le statine, oltre agli antitubercolari. L’abuso non infrequente al giorno d’oggi di prodotti da erboristeria, così come l‘impiego di farmaci e tossici, possono frequentemente essere alla base di un’ipertransaminasemia peraltro non facilmente spiegabile.
Il metodo migliore per determinare se un medicamento sia o meno responsabile dell’insorgenza di un innalzamento dei valori di AST/ALT consiste nella sospensione dell’assunzione del farmaco imputato della possibile insorgenza dell’ipertransaminasemia e nell’attesa della normalizzazione del quadro ematochimico. Sia l’opportunità della riassunzione del farmaco che la determinazione più accurata del danno epatico e delle possibili sequele evolutive sono da demandare in tal caso all’epatologo, che avrà anche il compito della possibile sostituzione di un medicamento con altro non epatotossico.
Epatite cronica.
L’ampia diffusione dell’infezione da virus C dell’epatite e l’elevata incidenza di cronicizzazione della malattia con conseguente innalzamento più o meno costante dei valori delle AST/ALT pone l’epatologo nell’urgenza di testare la viremia (anticorpi anti-HCV e corredo genetico del virus, o HCV-RNA) in tutti quei soggetti che presentino fattori di rischio per l’infezione. Il virus si contrae per via parenterale per cui sono da sottoporre ad indagine sierologica sia per gli anticorpi che per la viremia tutti i soggetti con ipertransaminasemia che ad esempio sono stati trasfusi o comunque sono stati esposti a possibile infezione da derivati ematici, i tossicodipendenti per la possibile scarsa sterilità degli aghi, i soggetti che si sono sottoposti a tatuaggi o a piercing, gli individui con promiscuità sessuale, infine tutti coloro che possono essere stati contagiati per via parenterale da materiale non sicuramente sterile (soggetti che si recano dal dentista, dal pedicure, dal manicure, dal barbiere ecc.).
In presenza di positività sierologiche e dopo un adeguato follow-up dei valori transaminasemici, questi soggetti sono in genere sottoposti a riscontro bioptico dell’epatopatia al fine di quantificare il danno epatico e l’eventuale evoluzione in fibrosi epatica o in altre forme più evolutive. Il successivo step sarà quindi la terapia immunomodulante a base di interferone, specialmente pegilato, e ribavirina o altri antivirali (adefovir dipivoxil).
Per quanto concerne invece l’epatite HBV positiva, essa può essere testimoniata dalla positività dell’antigene Australia (HBsAg) in associazione o meno alla positività del corredo genetico del virus B (HBV-DNA), mentre per quanto concerne gli altri marcatori di infezione essi potranno identificare sia soggetti non sieroconvertiti per quanto riguarda l’antigene “e” (HBeAg positivi), oppure soggetti appartenenti ad un altro gruppo, non piccolo, di soggetti con anticorpo per l’antigene ”e” positivo (anti-HBe). I soggetti con viremia positiva dovranno essere trattati con antivirali immunomodulanti (interferone anche pegilato e lamivudina) dopo, anche in questo caso, effettuazione di un grading/staging del danno epatico mediante riscontro bioptico al fine di quantificare l’attività infiammatoria e il grado di fibrosi del tessuto epatico.
Epatite autoimmune.
Tale forma morbosa, tipica prevalentemente di soggetti giovani di sesso femminile, è caratterizzata da elevazione dei livelli transaminasemici consensualmente alla presenza di un incremento discreto delle gamma immunoglobuline, ovviamente in assenza di altre cause note di epatopatia. Lo step ulteriore nella diagnostica di tale forma morbosa è rappresentato dal dosaggio degli autoanticorpi antinucleo, frequentemente positivi con titolo superiore a 1:80 (diluizione fino a 80 volte di 1 mL di siero e possibilità di riscontro di tali anticorpi in tale frazione del siero), mentre solo più raramente possono essere presenti altri autoanticorpi, quali gli anti-muscolo liscio (anti-ASMA), gli anti-mitocondrio (anti-AMA) o gli anti-membrana microsomiale sia di origine renale che epatica (anti-LKM).
Anche in questi casi dopo il riscontro delle alterazioni biochimiche e sierologiche suaccennate, è spesso necessario il riscontro bioptico di tale forma morbosa.
Steatosi epatica e steatoepatite.
L’incremento dei valori transaminasemici può essere il solo elemento in caso di presenza di queste due entità morbose. Il rapporto di De Ritis in tal caso non è superiore a 1.
Il deposito di tessuto adiposo all’interno del fegato è facilmente evidenziabile mediante un’ecografia, anche se talora si può ricorrere alla TAC.
Mentre la semplice steatosi epatica è in genere a carattere benigno e richiede solamente norme igienico-comportamentali e dietetiche facilmente attuabili, anche se da protrarre per alcuni mesi, onde poter ottenere risultati soddisfacenti in termini di riduzione della massa adiposa intraparenchimale epatica, la steatoepatite, una volta diagnosticata soprattutto dopo adeguato riscontro bioptico, spesso indicato in tali soggetti, può anche lentamente progredire verso forme più severe d’epatopatia, financo alla cirrosi epatica.
Il trattamento dell’incremento ponderale, unito alla somministrazione di vitamina E o di acido ursodesossicolico, che secondo alcuni Autori possono diminuire sensibilmente i valori di ipertransaminasemia, può sicuramente essere benefico, anche se non sempre tale risultato si associa ad un miglioramento dell’istologia epatica al riscontro bioptico.
Emocromatosi.
La diagnosi di tale affezione si basa sulla determinazione della sideremia e della capacità totale di legare il ferro o transferrina insatura più transferrina satura o sideremia. Inoltre la percentuale di saturazione della transferrina (in genere diagnostica quando superiore al 45%) completa le possibilità diagnostiche di tale affezione. A tali determinazioni si affianca la determinazione della ferritinemia, in genere elevata nelle forme secondarie di emocromatosi e estremamente elevata solo nelle forme primitive. L’ipertransaminasemia associata all’alterazione di tali indici pone in genere l’indicazione all’effettuazione di una biopsia epatica che, oltre allo scopo di quantificare il danno epatocellulare e l’entità della fibrosi epatica, si pone come utile presidio al fine di determinare il quantitativo assoluto di ferro depositato nel tessuto (che risulta in genere diagnostico per valori superiori ai 30-35 ug per grammo di peso secco epatico). Allo scopo di caratterizzare il gene responsabile della sindrome, si può oggi effettuare la ricerca delle mutazioni del gene HFE per il riscontro di una forma in omozigosi o eterozigoti sia per il C282Y (sostituzione di un residuo di tiroxina con uno di cisteina) che per l’H63D (sostituzione di un’istidina con un acido aspartico). La forma geneticamente più diffusa in caso di emocromatosi ereditaria è l’omozigosi per il C282Y. Negli altri casi, l’incremento dei depositi tessutali di ferro è più modesto. Nella forma primitiva invece i depositi di ferro possono raggiungere anche i 20 grammi di ferro. Peraltro è da ricordare come anche nella forma primitiva in omozigosi per il C282Y il rischio di fibrosi non è particolarmente severo nei casi in cui: 1) la ferritinemia non sia superiore a 1000 ug/L; 2) non sia presente ipertransaminasemia; 3) non sia presente epatomegalia; 4) non sia presente introito alcolico nel soggetto. E’ comunque pur vero che la biopsia epatica è particolarmente utile nello stabilire la presenza o l’assenza di un processo cirrotico, che è elemento essenziale ai fini prognostici e per lo sviluppo della temibile complicanza del carcinoma epatocellulare. Essa inoltre permette la determinazione sul peso secco del contenuto in ferro del tessuto, che fra l’altro è estremamente utile per quantificare grossolanamente i salassi necessari nel tempo alla rimozione del ferro depositato, tenendo appunto presente che un millilitro di sangue contiene all’incirca 0.5 mg di ferro.
Morbo di Wilson.
Tale malattia geneticamente trasmessa si associa ad un innalzamento dei valori transaminasemici anche in assenza di altre alterazioni ematochimiche.
L’esame da effettuare in prima battuta è in tal caso il dosaggio della ceruloplasmina sierica, che ovviamente risulterà particolarmente bassa nei soggetti colpiti dalla malattia. Gli esami complementari in tal caso sono l’esame oculare per la ricerca di un particolare segno della malattia dovuto al deposito di rame (anello di Kayser-Fleischer) e la quantificazione della cupruria sulle urine delle 24 ore. Tali determinazioni sono ovviamente propedeutiche alla quantificazione dei depositi epatici di rame, in genere effettuabili con riscontro bioptico ed esame del grado di fibrosi epatica consensuale. Valori di rame intraepatico superiori a 250 ug per grammo di fegato sono sicuramente patologici e diagnostici per morbo di Wilson.
Deficit di alfa-1-antitripsina.
Tale rara affezione risulta talora osservabile in soggetti con ipertransaminasemia di origine peraltro non altrimenti spiegabile. Per la diagnosi è opportuno il dosaggio della proteina, che risulterà con valori particolarmente bassi, così come può essere suggestivo il riscontro di un picco particolarmente basso delle alfa-1 globuline al tracciato elettroforetico delle proteine plasmatiche.
Cause non epatiche di elevazione dei livelli sierici di transaminasi.
Il morbo celiaco è una delle frequenti cause non epatiche di innalzamento dei livelli di transaminasi. Il dosaggio degli anticorpi anti-gliadina ed antiendomisio, associato alla determinazione degli anticorpi anti-transglutaminasi, può essere diagnostico nella maggior parte dei casi.
Malattie del muscolo striato possono associarsi ad un innalzamento dei valori transaminasemici; tali incrementi possono essere congeniti e qundi dovuti a malattie primitive del muscolo, oppure acquisiti, cone i processi polimiositici o gli esercizi muscolari prolungati isometrici, come anche la corsa prolungata. L’ipertransaminasemia in tal caso si associa frequentemente ad un innalzamento dei valori della creatin kinasi (CPK) di origine muscolare e dell’aldolasi.
Per riassumere la condotta terapeutica da tenere nei confronti dei pazienti con ipertransaminasemia, si riporta qui di seguito una flow-chart diagnostica.



ALT > 40 UI/L
Markers virali tutti negativi (*)
¦
Dieta ipocalorica senza alcool per due-tre settimane e riduzione del BMI se elevato
¦
_______ Nuovo dosaggio ALT _______________
¦ ¦
ALT > 40 UI/L ALT < 40 UI/L

Test di funzione epatica (**) Ipertransaminasemia
Emocromo e piastrine occasionale;
Colesterolo, Trigliceridi Nuovo controllo ALT fra 6 mesi
Glicemia, VES, sideremia
¦
VISITA EPATOLOGICA
¦
Sierologia per: EBV, HSV, CMV, Parvovirus B19 (IgM/IgG)
Autoanticorpi (ANA, AMA, ASMA, LKM)
Ferritinemia con % saturazione della transferrina, dosaggio alfa-1-antitripsina,
curva glicemica sotto carico ed Ecografia Addome Superiore
¦
NUOVA VISITA EPATOLOGICA
¦
ALT ogni mese per 6 mesi

1) ALT < 40 UI/L: ipertransaminasemia occasionale; nuovo controllo ALT fra 6 mesi
2) ALT > 40 UI/L: approfondimento della diagnosi &#61664; Biopsia epatica
2) Steatosi epatica, steatoepatite e altre alterazioni morfologiche &#61664; Biopsia epatica
3) Colestasi: follow-up per 6 mesi – Ecografia colangiografia ERCP: posibile colestasi
cronica &#61664; Biopsia epatica
4) Altra diagnosi con sovvertimento strutturale epatico: &#61664; Altri esami di imaging e/o
Biopsia epatica








(*) HBsAg, HBsAb, HBeAg, HBeAb, HBcAb, anti-HCV, Anti-HAV
(**) AST, ALT, &#947;-GT, FA, bilirubina totale e frazionata, albumina, &#947;-globuline, tempo di protrombina

Qualora l’innalzamento dei livelli transaminasemici non sia superiore a due volte il valore massimo normale e siano state escluse tutte le varie cause sopra menzionate, la miglior condotta terapeutica è quella attendista, con un controllo dei valori nel tempo ogni due-tre mesi. Qualora l’alterazione dei valori permanga per almeno 6 mesi, il passo successivo consiste nell’effettuazione di una biopsia epatica. Quest’ultima non sempre comunque fornisce una diagnosi sicura alla base dell’incremento dei valori di AST/ALT, ma può essere particolarmente utile a tranquillizzare il paziente, in quanto la fluttuazione dei valori transaminasemici può essere in tal caso sostanziata da un corretto, esauriente e preciso esame del tessuto epatico, mentre dall’altro canto fornisce al medico una quasi sicura risposta al quesito della possibile presenza di un processo patologico serio alla base dell’ipertransaminasemia.


Dr. Roberto G. Romanelli
Ricercatore Confermato dell’Università degli Studi di Firenze
Dipartimento di Medicina Interna

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