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Cassazione: Sospendere nutrizione enterale si può, a certe condizioni
Inserito il 17 ottobre 2007 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La Corte di Cassazione sul caso Englaro considera la nutrizione con sondino atto medico anche se non la riconosce come accanimento terapeutico ed afferma che sospendere la nutrizione è possibile a certe condizioni.

La Corte di Cassazione si è pronunciata sul caso di Eluana Englaro, la giovane in coma dal 1992 a seguito di un incidente stradale e per la quale il padre ha chiesto per anni in tribunale l'interruzione dell'alimentazione entetrale, fino al sopraggiungere della morte.

Le richieste di interruzione dell'alimentazione erano state respinte più volte, l'ultimo rigetto dell'istanza era stato sancito dalla Corte di Appello di Milano, contro questo pronunciamento è stato posto appello in Cassazione.

La suprema Corte ha disposto un nuovo processo in una diversa sezione della Corte d'Appello di Milano.

La notizia è stata data dal Primo Presidente della Suprema Corte, Vincenzo Carbone il quale in una nota riporta che :

La Corte di Cassazione ha escluso che l'idratazione e l'alimentazione artificiali con sondino nasogastrico costituiscano, in sè, oggettivamente, una forma di accanimento terapeutico, pur essendo indubbiamente un trattamento sanitario può, su istanza del tutore, autorizzarne l'interruzione soltanto, dovendo altrimenti prevalere il diritto alla vita, in presenza di due circostanze concorrenti:

1) la condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e delle capacità di percezione;

2) sia univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento.


La sentenza non accoglie quanto richiesto dal procuratore generale il quale nella sua arringa aveva sostenuto che:

la vita è un valore supremo tutelato dalla Costituzione, la decisione di come vivere o di come morire va lasciato al diretto interessato e non può essere gestito da altri. Il trattamento cui è sottoposta Eluana è invasivo, non c'è il consenso della ragazza e quindi nessun altro può arrogarsi il diritto di decidere di staccare il sondino che ancora la tiene in vita.


Fonte Corriere della Sera 17/10/2007

Commento di Luca Puccetti

Se quanto anticipato dalla nota riportata dal Corriere venisse confermato saremmo di fronte all'ennesima sentenza "dirompente" che, di fatto, crea le premesse per favorire il varo della normativa sul testamento biologico.

La sentenza, se confermato quanto riporatto nella nota, conterrebbe errori tecnici madornali, parlando di irreversibilità dello stato di coma. Il concetto di irreversibilità non esiste a livello scientifico tanto e vero che la definizione diagnostica è quella di stato vegetativo PERSISTENTE.

La definizione di stato vegetativo PERMANENTE si riferisce invece ad una prognosi ossia ad una previsione che è ontologicamente sottoposta a margini di errore.

Non ci sono criteri validati e condivisi sulle modalità per accertere la cosiddetta irreversibilità. Dunque, apparentemente i giudici avrebbero stabilito più un principio astrattamente giuridico che non una prassi da seguire, poiché nessun criterio potrà mai garantire al 100 per cento la condizione di "irreversibilità". L'ennesima prova , se mai ce ne fosse bisogno, è il caso di Salvatore Crisafulli l'uomo di Catania che, dopo due anni di stato vegetativo ("irreversibile"?) proclamato dalla scienza medica, si è risvegliato, dichiarando addirittura che nel suo "silenzio" sentiva e capiva tutto.

Ma la storia della giurisprudenza ci insegna a diffidare dei principi poichè essi vengono spesso stiracchiati. Così dal 100 per cento di probabilità si potrebbe arrivare (come già avvenuto per altre questioni) ad una "forte" probabilità e poi ad una "ragionevole" probabilità e così via lungo una china scivolosa che in fondo porta all'eutanasia bella e buona.

Lasciare morire di fame e sete è inoltre atto profondamente disumano e crudele, che può acuire la sofferenza, allora è molto meglio una "dolce" iniezione letale.

Ma veniamo alla vexata quaestio del secondo punto posto dalla cassazione ossia l'accertamento della volontà del paziente, facendo ricorso addirittura al vissuto del paziente circa la sua presunta volontà sull'interruzione delle cure.

Sempre se venisse confermato dalla lettura integrale della sentenza quanto stabilito sarebbe un concetto gravissimo, sulla base della stessa logica si potrebbe affermare che qualunque patrimonio (cosa ben meno importante della vita) potrebbe passar di mano in base a sentito dire, testimonianze di 20 anni prima ed amenità di tal genere.

Sarebbe concetto talmente grossolano, da indurre a considerarlo più come una provocazione piuttosto di una tragica realtà.

L'accertamento della volontà del soggetto pone tremende problematiche e non può certamente ridursi nella frettolosa compilazione burocratica di alcuni moduli, stile domanda per rilascio passaporto", con cui alcuni vorrebbero liquidare la questione. Figurarsi se può essere desunto da testimonianze di amici e parenti.

Ma c'è un altro tema sul tappeto.

Se il paziente viene ritenuto già morto da chi ne chiede l'interruzione della nutrizione, perchè mai ci si dovrebbe scaldare tanto ? Se costoro ritengono che il paziente sia una cosa e non più un essere, incapace di provare alcunché, compreso il dolore, allora perché continuare ad interessarsene? Chi lo accudisce fornendogli assistenza e cibo certo non lo disonora, dunque perché preoccuparsene? Se il convincimento di coloro che chiedono l'interruzione delle cure è questo e se le cure prestate non ledono la dignità del ricordo della persona perché ci si preoccupa tanto, fatto salvo per le questioni pecuniarie?

La verità è che è del tutto abnorme che giudici decidano di decidere su questioni di tal genere arrogandosi diritti che nessuno potrà mai delegare, almeno in uno stato di diritto di tradizione liberale occidentale.

Da anni a colpi di sentenze è in opera un'azione di rimodellamento della società in base a convinzioni di alcune persone non elette dal popolo e che, di fatto, non rispondono a nessuno del loro operato.

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