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Rosuvastatina nello scompenso cardiaco: lo studio CORONA
Inserito il 24 maggio 2008 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La rosuvastatina nei pazienti con scompenso cardiaco di tipo ischemico non ha ridotto l'end-point primario composto di morte vascolare, infarto ed ictus non fatali; potrebbe ridurre le ospedalizzazioni ma necessitano conferme.


In questo studio randomizzato sono stati arruolati 5.011 pazienti di almeno 60 anni (età media 73 anni), affetti da scompenso cardiaco in classe NYHA II-IV ritenuto di natura ischemica. La frazione di eiezione media era del 31%. I pazienti sono stati trattati con rosuvastatina (10 mg/die) o placebo con un follow-up medio di 32,8 mesi. L'end-point primario dello studio era composto da morte da cause vascolari, infarto non fatale, stroke non fatale. End-point secondari erano i decessi da tutte le cause, ogni evento coronarico, la morte da cause cardiovascolari ed il numero delle ospedalizzazioni.
Nonostante i pazienti del gruppo trattato mostrassero, rispetto al placebo, una sostanziale riduzione del colesterolo LDL e della proteina C reattiva ad alta sensibilità, l'end-point primario non differiva tra i due gruppi (11,4% per 100 pazienti anno nel gruppo rosuvastatina e 12,3 per 100 pazienti anno nel gruppo
placebo: HR 0,92; IC95% 0,83-1,02). I pazienti nel gruppo rosuvastatina ebbero però una riduzione
dei ricoveri per cause cardiovascolari e per scompenso cardiaco.
Gli eventi avversi furono simili tra i due gruppi, compresi i disturbi muscolari ed un maggior numero di pazienti smise il trattamento nel gruppo placebo.
Gli autori concludono che la rosuvastatina non impatta sull'end-point primario composto ma riduce le ospedalizzazioni.


Fonte:

Kjekshus J et al. for the CORONA group. Rosuvastatin in older patients with systolic heart failure. N Engl J Med 2007 Nov 29; 357: 2248-2261.


Commento di Renato Rossi

Le statine sono state sperimentate in numerosi trials sia in prevenzione primaria che secondaria ed hanno dimostrato di essere utili in una vasta gamma di pazienti a rischio cardiovascolare elevato. Tuttavia non era nota l'efficacia di questa classe di farmaci nello scompenso cardiaco. In una pillola precedente [1] si faceva notare che purtroppo tutte le evidenze disponibili derivavano da studi di tipo osservazionale oppure dall'analisi a posteriori di RCT sulle statine. E' noto che le evidenze derivanti da
studi di tipo osservazionale o dall'analisi a posteriori di RCT non sono sempre attendibili. Nei trials in cui erano state testate le statine come farmaci ipolipemizzanti i pazienti con scompenso cardiaco venivano quasi sistematicamente esclusi, per cui erano attesi con impazienza i risultati degli RCT in corso, appositamente disegnati per valutare l'efficacia delle statine in questa tipologia di pazienti.
Purtroppo lo studio CORONA da questo punto di vista fornisce risultati deludenti perchè l'end-point primario dello studio (quello cioè, lo ripetiamo ancora una volta, sul quale bisogna giudicare il risultato finale) non è stato ridotto in maniera significativa rispetto al placebo. Questo è tanto più rimarchevole se si considera che i pazienti arruolati erano affetti da scompenso cardiaco ritenuto di natura ischemica, per cui era ipotizzabile una buona efficacia delle statine. E' pur vero che la rosuvastatina potrebbe aver ridotto i ricoveri (già di per sè, comunque, un dato apprezzabile), ma si tratta di un end-point secondario. Accettare per valida una significatività statistica di un end-point secondario significa accettare un margine di errore troppo elevato (anche questo è un concetto noto ai lettori di questa testata). Il dato quindi va valutato con prudenza, come ipotesi che necessita di ulteriori conferme da altri RCT. E' in corso per esempio uno studio italiano, il GISSI-HF trial, con disegno fattoriale 2x2, in cui vengono testati, in aggiunta alla terapia standard dello scompenso, gli acidi omega 3 e la rosuvastatina.
Nel frattempo che fare? E' possibile ipotizzare che le statine siano meno efficaci quando vi è uno scompenso cardiaco? O, ancora, i dati dello studio CORONA dipendono dal fatto che la popolazione arruolata era costituita da soggetti anziani, quindi pazienti particolarmente a rischio e con comorbidità? E quale potrebbe essere l'efficacia delle statine nello scompenso con disfunzione diastolica oppure in quello non di natura ischemica?
Per ora si tratta di domande senza una risposta chiara e ci pare sia ancora attuale quanto si scrisse nella pillola precedente: in attesa di ulteriori trial le statine dovrebbero essere usate in particolari sottogruppi di pazienti scompensati ad alto rischio ischemico (per esempio se coesiste diabete, cadiopatia ischemica, arteriopatia periferica, pregresso ictus, ecc.).
Si può concludere comunque con un dato tranquillizzante: nello studio CORONA gli effetti avversi della rosuvastatina sono stati paragonabili a quelli del placebo e addirittura la percentuale dei pazienti che smise il trattamento era inferiore nel gruppo in trattamento rispetto al controllo.


Referenze

1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2841



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