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Glitazoni ed eventi avversi associati a ritenzione idrica
Inserito il 01 gennaio 2008 da admin. - metabolismo - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

L'uso dei glitazoni si associa a ritenzione idrica ed aumento di scompenso vengono descritti i meccanismi d'azione putativi e le strategie per prevenire e contrastare tali eventi avversi.

Premessa

I tiazolidinedioni o glitazoni sono una classe di farmaci caratterizzata da una moltitudine di effetti terapeutici inclusa riduzione della resistenza all’insulina ed un’azione antinfiammatoria. Sono inoltre in grado di migliorare la pressione arteriosa, la microalbuminuria e la steatosi epatica.
Nel 1997, il primo farmaco di questa classe terapeutica ad essere approvato per il trattamento del diabete di tipo 2 è stato il troglitazone il quale dopo circa 3 anni è stato ritirato dal commercio a causa della sua grave epatotossicità (1).
A partire dal 1999 sono stati approvati per l’uso clinico altri due glitazoni, (rosiglitazone e pioglitazone) che sono ancora gli unici attualmente in commercio. A partire dal momento della commercializzazione, il numero di eventi avversi provocati da questi due farmaci è andato progressivamente aumentando tanto da richiamare l’attenzione della comunità scientifica internazionale.
Gli autori di una recente revisione hanno focalizzato il proprio interesse sugli eventi avversi riconducibili alla ritenzione idrica indotta da questi farmaci, puntando l’attenzione sui meccanismi situati alla base di tali effetti e i dati clinici attualmente disponibili (2). Riportiamo di seguito un’ampia sintesi dello studio.

Ritenzione idrica

Uno dei più comuni eventi avversi associati all’uso dei glitazoni è la ritenzione idrica che a sua volta può causare edema o esacerbare un preesistente scompenso cardiaco congestizio (SCC). Dati ottenuti dagli studi preclinici e da studi clinici preliminari dimostrano che tale effetto è da attribuire almeno parzialmente ad un’azione diretta dei tiazolidinedioni sul riassorbimento di acqua e sodio a livello del dotto collettore midollare. Recenti studi condotti su topi mutanti, suggeriscono che alla base di tale effetto vi sia una up-regulation PPARγ dipendente del canale epiteliale per il sodio (EnaCα) sensibile all’aldosterone (3,4). Al momento, però, tale meccanismo è ancora congetturale anche se sono piuttosto comuni i casi di riduzione drastica della pressione arteriosa in pazienti sottoposti alla somministrazione di tali farmaci (5,6).
Un altro meccanismo plausibile prevede la riduzione della resistenza vascolare periferica (7) e l’incremento nel riassorbimento del sodio a livello del tubulo prossimale, presumibilmente collegato ad un’attivazione riflessa del sistema renina angiotensina (8); un effetto che sembra essere sensibile all’azione di alcuni diuretici (spironolattone, amiloride, idroclorotiazide).
La tabella 1 riporta i principali fattori che possono predisporre i pazienti allo sviluppo di ritenzione idrica associata all’uso di tiazolidinedioni.

Tabella 1. Fattori predisponenti per lo sviluppo di ritenzione idrica indotta da tiazolidinedioni

Età
Sesso femminile
IVS all’ECG
Livelli elevati di BNP
Anamnesi medica di IHD o SCC
Patologie macrovascolari o microvascolari
Danno renale
Terapia insulinica
Polimorfismo dei PPARγ
Uso concomitante di altri farmaci capaci di causare edema periferico

BNP = peptide natriuretico cerebrale; SCC = scompenso cardiaco congestizio; IHD = patologia ischemica cardiaca; IVS = ipertrofia ventricolare sinistra; PPARγ = peroxisome proliferator-activated receptors γ.


Dati clinici

Da un punto di vista clinico, c’è da tenere presente che nella maggior parte degli studi condotti sui glitazoni sono stati esclusi i pazienti appartenenti alle classi III e IV della classificazione NYHA (New York Hearth Association), ovvero quelli con sintomi riferibili ad angina o scompenso cardiaco congestizio (SCC).
In uno studio condotto su volontari sani, sottoposti alla somministrazione di rosiglitazone (8 mg/die) per 8 settimane, è stato osservato un lieve ma significativo incremento nel volume plasmatico medio (circa 1,8 ml/kg) rispetto al placebo. Nei pazienti con diabete di tipo 2 è stata invece osservata una riduzione nei livelli plasmatici di emoglobina (tra 0,8 e 1,1 g/dl) e nell’ematocrito (2,3-3,6%) a seconda che il farmaco fosse somministrato in monoterapia o in combinazione con altri antidiabetici orali o insulina (9). Simili risultati sono stati ottenuti con il pioglitazone (10). Tali variazioni sono state osservate entro le prime otto settimane di terapia con un valore tendente al raggiungimento di un plateau durante il prosieguo del trattamento.

Edema

L’edema lieve o moderato rappresenta una classica conseguenza della ritenzione idrica e viene peggiorato dalla contemporanea somministrazione di insulina la quale a sua volta può essere una causa indipendente di edema (11). L’insulina infatti, non è soltanto un ormone ad azione vasodilatatoria, il cui effetto può essere in tal senso aumentato dalla contemporanea somministrazione di tiazolidinedioni, ma sembra essere in grado di aumentare il trasporto di sodio a livello del canale EnaCα attraverso la SGK1 (serum and glucocorticoid regulated kinase), una chinasi che controlla l'espressione del canale EnaC, sul versante luminale della membrana delle cellule appartenenti ai tubuli distali e collettori (12,13,14).
Al momento, il meccanismo con cui si manifesta l’edema da glitazoni è ampiamente congetturale anche se almeno due fattori sembrano essere coinvolti nella sua genesi. Innanzitutto, i tiazolidinedioni come già sottolineato in precedenza, riducono la resistenza vascolare periferica (7). Ciò potrebbe determinare un’esposizione delle parti distali dell’albero vascolare (inclusa la rete di capillari) a pressioni perfusionali più elevate rispetto a quelle che si verificano in condizioni normali, determinando in definitiva uno stravaso di fluidi a livello degli arti inferiori (15).
Un’ipotesi più plausibile prevede invece un incremento dell’espressione di un potente fattore di permeabilità vascolare, il VEGF (vascular endothelial growth factor) a livello della muscolatura liscia vascolare (16). In effetti, recentemente è stato notato un collegamento tra edema indotto da troglitazone in pazienti affetti da diabete di tipo 2 ed incremento dei livelli plasmatici di VEGF (17).

Dati clinici

Nello studio ADOPT (A Diabetes Outcomes Progression Trial), un trial randomizzato di confronto della durata di 4 anni, l’edema è stato osservato nel 14,1% dei pazienti trattati con rosiglitazone rispetto al 7,2% di quelli trattati con metformina e all’8,5% dei trattati con glibenclamide (18). Nello studio PROactive, (Prospective Pioglitazone Clinical Trial in Macrovascular Events Study), nel quale il pioglitazone è stato associato ad altri antidiabetici (un terzo dei pazienti è stato sottoposto alla somministrazione concomitante di insulina), l’incidenza dell’edema non correlato a SCC è risultata pari a 21,6% rispetto al 13,0% di quelli che hanno ricevuto il placebo (19).
In un altro studio in cui il rosiglitazone è stato combinato con l’insulina, l’incidenza dell’edema è risultata rispettivamente del 13,1% (4 mg) e del 16,2% (8 mg) contro il 4,7% osservato nel gruppo insulina/placebo (20). In uno studio analogo sul pioglitazone, l’incidenza dell’edema è apparsa pari al 12,6% (15 mg) e al 17,6% (30 mg) rispetto al 7,0% dell’associazione insulina/placebo (21).
Anche la localizzazione dell’edema ed il suo grado di severità sono degli importanti fattori da tenere in considerazione, non soltanto a causa della loro potenziale associazione con lo SCC ma anche perché alcuni medici sono così sensibili nei confronti di tale correlazione da essere portati ad associare entrambi gli effetti. In realtà, la correlazione tra edema (soprattutto periferico) e SCC non è del tutto chiara.
In uno studio condotto su 166 anziani statunitensi, trattati con tiazolidinedioni, il 18,6% (30 pazienti) ha sviluppato edema e circa la metà di essi (16 pazienti) è stata costretta a sospendere la terapia a causa della gravità dell’effetto (15).
In un ulteriore studio, condotto su pazienti con diabete di tipo 2 e scompenso cardiaco sistolico cronico ma stabile, il 17% dei pazienti trattati con glitazoni (19/115) ha manifestato segni e sintomi di ritenzione idrica (22). Il confronto di tali pazienti con un gruppo di anziani di età ≥ 80 anni, non trattati con tiazolidinedioni ma con criteri simili per la ritenzione idrica, ha evidenziato pattern di edema sorprendentemente diversi. Tra gli utilizzatori di glitazoni, l’edema è stato nel 95% dei casi periferico, polmonare nell’11% dei casi, mentre nel 32% dei casi si è manifestato con distensione venosa della giugulare. Tra i non utilizzatori tali eventi si sono manifestati rispettivamente nel 63%, 80% e 73% dei casi.

Scompenso cardiaco congestizio (SCC)

Lo scompenso cardiaco congestizio rappresenta una comune complicanza del diabete e può originarsi in età precoce come conseguenza di un’obesità infantile o adolescenziale.
Le caratteristiche di base che possono predisporre i pazienti con diabete di tipo 2 alla comparsa di SCC in seguito a trattamento con glitazoni sono state valutate in due studi clinici (23,24). Tali fattori includono:

coesistenza di vari gradi di ipertensione
ipertrofia ventricolare sinistra
disfunzione diastolica
presenza di patologie a livello del microcircolo
insufficienza renale cronica
trattamento simultaneo con sulfoniluree o insulina
aumento repentino di peso (da 5,4 a 17 kg)


Sulla base di tali osservazioni e degli effetti noti dei tiazolidinedioni, è possibile elaborare una sequenza di eventi fisiopatologici che possono portare all’esacerbazione dello scompenso cardiaco congestizio da parte di tali farmaci.
L’evento cardine è senza dubbio la ritenzione idrica cui segue un’espansione cronica, sebbene non progressiva, del volume plasmatico ed un sovraccarico del cuore. In uno studio condotto in pazienti con diabete di tipo 2 senza una preesistente disfunzione cardiaca, renale o coronaropatia, il trattamento con rosiglitazone per 52 settimane ha causato un lieve, sebbene non significativo, incremento della massa ventricolare sinistra e del volume diastolico (25). Nello studio è stato inoltre osservato un adattamento della struttura del cuore al fine di compensare l’incremento cronico del carico circolatorio.

Dati clinici

In uno studio spesso citato, nel quale sono stati utilizzati dati estratti dal PharMetrics Integrated Outcome Database, è stata registrata l’incidenza dello SCC in una coorte di pazienti con diabete di tipo 2 esposti e non esposti a glitazoni (26). Nel gruppo di trattamento con tiazolidinedioni, l’incidenza a 40 mesi dello SCC è risultata maggiore (8,2%) rispetto a quella osservata nel gruppo dei non utilizzatori (5,3%).
Uno scenario simile è stato osservato in un altro studio (27), anche se in questo caso gli effetti dell’inizio della terapia con glitazoni sono stati confrontati con quelli derivanti dall’inizio della terapia con altri antidiabetici, inclusa l’insulina. Dai dati emersi in tale indagine non è stato osservato alcun incremento nell’incidenza di SCC tra i pazienti sottoposti alla somministrazione di pioglitazone rispetto al trattamento di riferimento con sulfonilurea, mentre l’introduzione dell’insulina è risultata chiaramente nociva. Per contro la metformina ha mostrato, rispetto alle sulfoniluree, un effetto protettivo nei confronti dello scompenso cardiaco.
In un ulteriore studio è stato osservato che il trattamento con pioglitazone determina una minore incidenza di SCC rispetto all’insulina (28).
L’unico RCT prospettico, relativo alla somministrazione di tiazolidinedioni in pazienti affetti da diabete di tipo 2 a rischio elevato di infarto del miocardio fatale e non e di stroke, è lo studio PROactive (19). Sebbene gli endpoint primari e secondari del trial fossero incentrati su variazione nell’incidenza di eventi cardiovascolari, procedure d’intervento e mortalità, nello studio è stato posto un interesse particolare agli eventi avversi farmaco-correlati, incluso lo SCC. In particolare, il 6% dei pazienti trattati con pioglitazone è stato ospedalizzato a causa di SCC contro il 4% del gruppo di controllo. C’è comunque da considerare che nei pazienti ad elevato rischio di SCC il tasso di mortalità non è stato aumentato dalla somministrazione di tiazolidinedioni.
In un recente studio di coorte retrospettivo (29), condotto su 16.417 pazienti diabetici con diagnosi ospedaliera di SCC, l’uso di glitazoni ha evidenziato un significativo effetto protettivo nei confronti della mortalità a 1 anno (hazard ratio [HR] = 0,87; 0,80-0,94); tale effetto è risultato simile a quello osservato per la metformina (HR = 0,86; 0,78-0,97). Infine, quando i farmaci sono stati associati l’effetto è apparso additivo (HR = 0,76; 0,58-0,99).
In un ulteriore studio di coorte retrospettivo, condotto su 24.953 affetti da diabete e con una diagnosi di infarto acuto del miocardio (30), il trattamento combinato metformina/glitazoni ha evidenziato una protezione altamente significativa nei confronti della mortalità a 1 anno (HR = 0,52; 0,34-0,82), anche se, presi singolarmente, nessuno di questi farmaci è apparso particolarmente efficace. In entrambi gli studi, l’incidenza di nuovi ricoveri ospedalieri per SCC è risultata lievemente incrementata a seguito del trattamento con glitazoni.

N.B. in Europa l'Emea ha stabilito che i glitazoni non debbono essere usati in pazienti con scompenso cardiaco (n.d.r.) http://www.emea.europa.eu/pdfs/human/press/pr/48446407en.pdf


Glitazoni e gestione del rischio

Alla luce di quanto finora esposto, appare chiaro che una corretta gestione del rischio degli eventi avversi associati all’uso di glitazoni rappresenta un presupposto essenziale al fine di un utilizzo ottimale di tali farmaci. Attualmente, la migliore guida per iniziare in modo sicuro un trattamento a base di tiazolidinedioni è data dal consensus statement dell’AHA/ADA (American Hearth Association/American Diabetes Association) che suggerisce un uso cauto dei glitazoni nei casi di scompenso cardiaco noto o sospetto (31).
La somministrazione di tali farmaci dovrebbe essere iniziata al più basso dosaggio possibile nei pazienti la cui condizione cardiaca risulti dubbia; inoltre essi dovrebbero essere sottoposti ad un monitoraggio costante al fine di escludere la possibilità di ritenzione idrica. Nondimeno, l’uso di tiazolidinedioni dovrebbe essere evitato nei pazienti con insufficienza cardiaca di classe III e IV della classificazione NYHA.
Come già detto in precedenza, la ritenzione idrica da tiazolidinedioni può essere contrastata dalla somministrazione di diuretici quali amiloride (che agisce da inibitore dell’EnaCα) (32) e spironolattone (uno specifico antagonista dell’aldosterone) (14).
In un recente studio multicentrico, condotto su un totale di 381 pazienti con diabete di tipo 2, inadeguatamente controllati mediante terapia antidiabetica orale, è stato valutato l’effetto di tre distinti diuretici (furosemide, idroclorotiazide e spironolattone) nei confronti della ritenzione idrica indotta dai glitazoni (33). Dopo 12 settimane di trattamento, 260 pazienti (68%) hanno evidenziato una riduzione dell’ematocrito (utilizzato come surrogato per l’incremento del volume plasmatico (34,35) ≥ allo 0,5%. Nei pazienti con ritenzione idrica, la riduzione dell’ematocrito è stata accompagnata da una significativa riduzione dei livelli di emoglobina totale e di albumina. Inoltre, la riduzione dei livelli di emoglobina è apparsa inversamente correlata alle variazioni dell’acqua totale e dei fluidi extracellulari i quali tendono ad aumentare in maniera significativa in seguito all’espansione del volume plasmatico.
Da un punto di vista numerico, la maggiore riduzione della ritenzione idrica è stata osservata nei pazienti trattati con spironolattone nei quali si è verificato un significativo incremento dell’ematocrito e riduzione del volume dei fluidi extracellulari. Il trattamento con idroclorotiazide è apparso parzialmente efficace, mentre la furosemide ha mostrato un effetto più limitato.
In definitiva, i dati di questo studio indicano che i diuretici capaci di inibire il riassorbimento di acqua e sodio a livello del dotto collettore renale, come lo spironolattone o l’idroclorotiazide (o anche l’amiloride che però non è stata testata in tale studio) possono essere efficaci nel ridurre la ritenzione idrica indotta dai tiazolidinedioni.
Infine, una recente pubblicazione evidenzia l’efficacia del fenofibrato nel prevenire l’aumento di peso e la ritenzione idrica indotta dal rosiglitazone (36). Tuttavia, tali osservazioni devono essere interpretate con cautela (37). Infatti, poiché il fenofibrato è un agonista del PPARα, l’uso combinato di rosiglitazone e fenofibrato potrebbe, al contrario, determinare un’azione sinergica dei due farmaci il cui effetto può esitare in una maggiore incidenza di ritenzione idrica, edema ed eventi avversi renali e cardiovascolari incluso lo SCC (38).

Alessandro Oteri, Dipartimento Clinico e Sperimentale di Medcina e Farmacologia dell’Università di Messina http://www.farmacovigilanza.org

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