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Aspirina a basso dosaggio inefficace nella malattia di Alzheimer
Inserito il 23 agosto 2008 da admin. - neurologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Il trattamento con ASA a basso dosaggio non migliora il decorso della malattia di Alzheimer e aumenta il rischio di gravi episodi di sanguinamento.


Attualmente, le opzioni terapeutiche per la malattia di Alzheimer (inibitori delle colinesterasi e memantina) sono assai limitate e lungi dal potersi definire realmente efficaci. Pertanto, qualsiasi nuova informazione scientifica in questo settore clinico-terapeutico viene accolta con grande interesse.
L’acido acetilsalicilico (ASA) trova impiego nella terapia della demenza di tipo vascolare e numerosi studi epidemiologici hanno documentato una minore probabilità di sviluppare la malattia di Alzheimer (AD) da parte di soggetti in trattamento con ASA rispetto a quelli che non assumono questo farmaco.
E’ stato, inoltre, osservato che l’ASA induce una serie di effetti biologici che possono tradursi in una minore secrezione, formazione e aggregazione della proteina beta-amiloide.
Anche in seguito all’utilizzo di un basso dosaggio, l’ASA è risultata efficace nel ritardare la progressione della demenza su base ischemica e nel ridurre il numero di eventi cardiovascolari in pazienti ad alto rischio.

Sulla base di queste premesse e nell’ambito di uno studio più ampio (AD2000 Collaborative Group, Lancet 2004; 363: 2105-15) teso a verificare l’utilità del trattamento con donepezil (un inibitore reversibile dell’enzima acetilcolinesterasi) in pazienti con malattia di Alzheimer, un gruppo di ricercatori inglesi ha condotto uno studio multicentrico, randomizzato, in aperto, per valutare l’efficacia e la tollerabilità dell’ASA a basso dosaggio (75 mg/die per via orale in compresse gastroresistenti) in 310 pazienti con malattia di Alzheimer di grado lieve (n=156) o moderato (n=154).
Sia nel gruppo in trattamento con ASA sia in quello di controllo il 5% dei pazienti aveva un’età <60 anni, il 19% era tra i 60 e i 69 anni, il 51% tra 70 e 79 anni e il 25% un’età >80 anni. In 18 soggetti era inoltre presente una demenza vascolare.

L’end point primario di efficacia era la misurazione della capacità cognitiva (mediante la Mini-Mental State Examination, MMSE) e dell’attività funzionale (mediante la Bristol Activities of Daily Living Scale, BADLS). Gli end point secondari erano la presenza e il grado di severità della sintomatologia comportamentale e psicologica, la progressione al grado più grave della disabilità cognitiva, lo stato di benessere delle persone coinvolte nell’assistenza ai pazienti, l’aumento delle disabilità, la mortalità, la sicurezza in termini di reazioni avverse gravi e la compliance alla terapia.

Durante i primi 12 mesi dello studio i pazienti sono stati valutati ogni 12 settimane e, successivamente, una volta all’anno. Nel 50% dei 156 soggetti randomizzati al trattamento con ASA e nel 78% dei 154 pazienti del gruppo di controllo è stato possibile raccogliere informazioni relative ai 3 anni successivi all’inizio dello studio.

Al termine della sperimentazione, nel gruppo in trattamento con ASA è stato riscontrato un punteggio MMSE leggermente più elevato (0,10) rispetto al controllo. Tale differenza non è risultata statisticamente significativa (p=0,7). Nei pazienti trattati con ASA il punteggio medio relativo alla BADLS è risultato inferiore di 0,62 punti rispetto a quelli che non avevano assunto il farmaco (p=0,11).
Non sono emerse differenze di rilievo relativamente a tutti gli altri parametri considerati.

Per quanto riguarda la tollerabilità, 13 pazienti (8%) in trattamento con ASA e 2 pazienti (1%) del controllo hanno manifestato un episodio emorragico di gravità tale da richiedere il ricovero ospedaliero. Inoltre, tre pazienti (2%) del gruppo ASA sono deceduti per emorragia cerebrale.
Gli autori concludono il loro articolo affermando che, in pazienti con malattia di Alzheimer di grado lieve o moderato, i rischi legati alla somministrazione prolungata di ASA a basso dosaggio risultano superiori rispetto ai benefici attesi.

Come segnalato con grande chiarezza da Paul S. Aisen nel suo editoriale di accompagnamento al lavoro, pur presentando alcuni limiti piuttosto evidenti dal punto di vista metodologico (quali, ad esempio, l’assenza di cecità nel disegno sperimentale e la possibile mancanza di compliance da parte dei pazienti di entrambi i gruppi) questo studio suggerisce in modo attendibile e convincente che il trattamento con ASA a basso dosaggio non migliora il decorso della malattia di Alzheimer e aumenta il rischio di gravi episodi di sanguinamento.
Si tratta di un dato che conferma e completa quelli già disponibili sulla mancanza di efficacia della terapia con qualsiasi tipo di FANS in soggetti con questo tipo di demenza.
Un’appropriata trasposizione di tutte queste evidenze nella pratica clinica potrebbe almeno determinare una riduzione del numero di eventi emorragici di natura iatrogena in pazienti con malattia di Alzheimer.


Fonte
AD2000 Collaborative Group. Aspirin in Alzheimer’s disease (AD2000): a randomised open-label trial. Lancet Neurology 2008; 7: 41-9.
Aisen PS. An aspirin a day for Alzheimer’s disease? Lancet Neurology 2008; 7: 20-1.

Dottor Mauro Bianchi

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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