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Nuove terapie per l'Alzheimer
Inserito il 06 marzo 2009 da admin. - neurologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Il Lancet pubblica due studi che hanno valutato due approcci terapeutici diversi per il morbo di Alzheimer.



Nel primo studio [1] sono stati reclutati 183 pazienti affetti da malattia di Alzheimer lieve-moderata (score di 10-24 al MMSE), randomizzati a dimebon (20 mg x 3/die) oppure plecebo. Non era permesso usare altri farmaci approvati per il trattamento della demenza. L'end-point primario era la variazione della funzione cognitiva a sei mesi rispetto al baseline, valutata mediante la scala ADAS-cog. Lo studio era in doppio cieco e l'analisi dei dati è stata effettuata secondo l'intenzione a trattare. Hanno completato lo studio 78 pazienti (88%) nel gruppo dimebon e 77 (82%) nel gruppo placebo. Al termine dello studio i pazienti del gruppo dimebon mostravano un miglioramento del punteggio alla scala ADAS-cog significativo rispetto a quello basale (differenza mediana - 1,9, da - 2,92 a - 0,85; p = 0,0005). Si è visto che questo trend continuava in una estesnione dello studio (sempre in cieco) durata altri sei mesi. I più comuni effetti avversi associati al trattamento (secchezza della mucosa orale e depressione dell'umore) si verificarono nel 14% dei pazienti. La percentuale di pazienti che ebbero effetti avversi nei due gruppi non differiva. Gli autori concludono che dimebon è sicuro, ben tollerato e migliora il decorso clinico dei pazienti con Alzheimer lieve-moderato.
Il secondo studio [2] voleva valutare se l'immunizzazione con amiloide beta peptide (Aβ42) è in grado di ridurre la deposizione di amiloide nel cervello. Pertanto nel settembre 2000 sono stati arruolati 80 pazienti in uno studio di fase I. I pazienti sono stati immunizzati con Aβ42. Il follow-up era completo al settembre 2006. La valutazione delle placche di sostanza amiloide nel cervello è stata effettuata sia in termini di percentuale dell'area corticale interessata sia in termini di caratteristiche istologiche. La sopravvivenza dei pazienti è stata valutata con il modello di Cox fino a che non si era sviluppata una grave demenza oppure non si era verificato il decesso. Morirono 20 pazienti (15 nel gruppo trattato e 5 nel gruppo placebo) prima che iniziasse il follow-up. Ulteriori 22 pazienti morirono (19 nel gruppo trattato e 3 nel gruppo placebo) durante il follow-up. Diedero il consenso all'esame autoptico 9 pazienti, tutti nel gruppo trattato. Uno di essi venne escluso perchè morì senza essere affetto da demenza di Alzheimer. Negli 8 pazienti rimasti il carico di Aβ era più basso che in soggetti di controllo non immunizzati che erano deceduti ad un'età analoga. In tutta la coorte studiata tuttavia non c'era un miglioramento della sopravvivenza o del tempo di comparsa di demenza grave nel gruppo immunizzato rispetto al gruppo controllo. Gli autori concludono che l'immunizzazione con Aβ42 aumenta la rimozione dei depositi di amiloide dal cervello ma questo non previene la progressiva degenerazione neurologica.


Fonte:

1. Doody RS et al. on behalf of the dimebon investigators.Effect of dimebon on cognition, activities of daily living, behaviour, and global function in patients with mild-to-moderate Alzheimer's disease: a randomised, double-blind, placebo-controlled study. Lancet 2008 Jul 19; 372:207-215
2. Holmes C et al. Long-term effects of Aβ42 immunisation in Alzheimer's disease: follow-up of a randomised, placebo-controlled phase I trial. Lancet 2008 Jul 19; 372:216-223



Commento di Renato Rossi

I due studi del Lancet illustrano nuove strade che la ricerca sta intraprendendo nella lotta alla demenza di Alzheimer.
Il secondo studio parte dal presupposto che l'immunizzazione con amiloide beta peptide sia in grado di rimuovere i depositi di amiloide dal cervello che si riscontrano nella demenza di Alzheimer e quindi di combattere la progressione della degenerazione neuronale. Purtroppo, anche se l'immunizzazione sembra esercitare un effetto di pulizia sulla sostanza amiloide, non ci sono stati benefici clinicamente apprezzabili.
Il primo studio invece è più promettente. Dimebon è un vecchio antistaminico non selettivo che viene usato da circa vent'anni in Russia. E' stato visto però che il farmaco possiede la capacità di interagire sulla funzione mitocondriale dei neuroni, funzione che è compromessa in malattie come l'Alzheimer e la malattia di Huntington. Lo studio di Doody e collaboratori suggerisce, in effetti, che il dimebon può essere in grado di migliorare le funzioni cognitive, il livello di attività e il comportamento dei pazienti con forme lievi-moderate di demenza di Alzheimer. Ovviamente siamo ancora in una fase iniziale e bisognerà vedere se questi risultati saranno confermati da altri studi a più lungo termine e con più ampia casistica. Inoltre sarà importante valutare se il dimebon sia in grado di rallentare la progressione della malattia, ridurre la disabilità e la dipendenza che sono caratteristiche della fasi avanzate della demenza. Sarà interessante anche confrontare il farmaco con i trattamenti finora approvati per la demenza ed eventulamente stabilire se si possano avere benefici maggiori con una terapia combinata. E' attualmente in corso uno studio di fase III (studio CONNECTION) che potrà portare ulteriori elementi di conoscenza. Un punto a favore del dimebon potrebbe essere il costo particolarmemte vantaggioso.


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