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Gli antidepressivi sono utili nelle forme lievi di depressione?
Inserito il 26 agosto 2010 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Ci sono scarse evidenze dell'efficacia degli antidepressivi nelle forme lievi di depressione.

Il trattamento antidepressivo (ADM) rappresenta lo standard corrente di trattamento dei disordini depressivi maggiori (MDD) ed è stato dimostrato superiore al placebo in molti trials clinici randomizzati nelle ultime 5 decadi. L’estensione con la quale l’ADM supera il placebo (che controlla aspetti non farmacologici dell’ADM) può essere utilizzata per indicare il “vero” effetto farmacologico dell’ADM nei setting clinici. Gold standard per testare l’efficacia dei trattamenti e offrire l’opportunità di identificare pazienti caratteristici che predicano risposte farmacologiche differenti sono i trial randomizzati, in doppio cieco, controllati vs placebo e la gravità dei sintomi iniziali è una dimensione che può influire sugli esiti di trattamento.

Partendo dalle metanalisi di Kirsch e coll e Khan e coll., già trattate in una nostra precedente “pillola” ( http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3868 ) (che hanno presentato meta-analisi indipendenti di trial clinici randomizzati controllati basandosi sui dati derivanti dai database di trial clinici provenienti dalla Food and Drug Administration o FDA), gli autori hanno sollevato critiche alle suddette metanalisi, che possiamo così sintetizzare:
“Entrambi gli studi hanno trovato che alla maggiore gravità dei sintomi iniziali corrispondeva la maggior grandezza della differenza a favore dell’ADM rispetto al placebo. Kirsch e coll. hanno dedotto dai loro risultati che lo score minimo iniziale HDRS necessario per raggiungere una significativa differenza clinica dell’ ADM/placebo è approssimativamente 28 e che le differenze sono trascurabili per score HDRS iniziali più bassi. Una limitazione di queste metanalisi è il range ristretto di score di gravità iniziali inclusi nei loro studi. Nell’analisi di Kirsch e coll., solo 1 di 35 studi ha compreso campioni con una media iniziale degli score HDRS più bassa di 23. Come gli autori stessi hanno notato, uno score di 23 è caratteristico di “depressione molto grave” secondo la American Psychiatric Association’s Handbook of Psychiatric Measures (che definisce media la depressione con score HDRS da 8 a13, moderata con score da 14 a 18, grave con score da 19 a 22, e depressione molto grave con score superiori a 23). In maniera simile, ognuno degli studi inclusi da Khan e coll. ha richiesto uno score minimo di 20 all’HDRS, il che significa che tutti i pazienti avrebbero potuto essere classificati come affetti da depressione grave o molto grave. E’ probabile che una proporzione campionabile di individui depressi che iniziano una ADM in comunità si presentino con livelli di gravità ben al di sotto di questi valori. Infatti, una recente revisione di pazienti depressi, in trattamento ambulatoriale ha trovato che il 71% di 503 pazienti è stato valutato avente score HDRS inferiori a 22.8. Vi è scarsezza di studi sistematici del vero effetto dell’ADM in pazienti con depressione meno grave. Questi dati sono scarsi nel database dell’FDA e nella letteratura pubblicata. Questo è in parte il risultato dei criteri di inclusione usati per molte registrazioni di trials dell’FDA nei quali gli score cut off erano imposti espressamente all’inizio per aumentare la sensibilità dei paragoni ADM/placebo. Una seconda limitazione delle metanalisi di Kirsch e coll. e di Khan e coll. è che in ognuno degli studi inclusi che ha usato un periodo di washout del placebo. Il washout del placebo dura da alcuni giorni a 2 settimane, durante le quali ai pazienti viene somministrata una pillola placebo in singolo cieco, alla fine di questo periodo, i pazienti che dimostrano un miglioramento di una particolare grandezza (in maniera tipica > o = al 20% della HDRS) vengono esclusi dal trial prima della randomizzazione. L’obiettivo di questa procedura è aumentare l’incremento di potenza per svelare differenze tra ADM e placebo rimuovendo i responders noti al placebo al principio. Sebbene non sia chiaro se la sospensione del placebo realmente aumenti il potere statistico dei paragoni ADM/placebo, questa configurazione di disegno limita in maniera severa la capacità di generare stime accurate del tasso di risposta del placebo. Poiché i responders precoci vengono rimossi dal trial prima che possano contribuire ai dati, il vero tasso di risposta al placebo può essere sottostimato nei trial che usano questa configurazione.”
Nel presente studio, gli autori, quindi, hanno combinato i dati derivanti da 6 trial su ampia scala controllati vs placebo che hanno compreso pazienti con ampio range di gravità dei sintomi iniziali. Poiché la maggior parte degli studi MMD incorporano un minimo score iniziale di gravità depressiva come criterio di inclusione, studi di disordini depressivi minori (che non hanno tipicamente queste soglie ristrette) sono stati egualmente inclusi in questa analisi. I criteri di entrata hanno permesso ai pazienti di entrare in questi studi con score HDRS variabili da più bassi di 20 a superiori a 30. Gli autori sostengono che probabilmente i dati analizzati da Kirsch e coll. e da Khan e coll. contenevano informazioni solo a livello di trattamenti di gruppo e pertanto potevano supportare solo procedure standard metanalitiche, i database dai 6 studi inclusi nella presente ricerca hanno fornito dati per una metanalisi a livello di paziente, anche nota come mega-analisi. Sostengono, pertanto, che questo approccio è più appropriato e più potente di una metanalisi standard quando i dati originali sono disponibili ed è richiesta una analisi multivariata a grana fine. Basandosi sui risultati di Kirsch e di Kahn, hanno ipotizzato che le differenze ADM/placebo diventassero più ampie all’aumento della gravità iniziale.

Fonti dei dati: la ricerca è stata effettuata su PubMed, PsycINFO, e sui database della Cochrane Library da Gennaio1980 fino a Marzo 2009, cercando riferimenti derivati da meta-analisi e revisioni sistematiche.

Selezione degli studi

Sono stati selezionati trials randomizzati controllati vs placebo di antidepressivi approvati dalla Food and Drug Administration nel trattamento dei disordini depressivi maggiori o minori. Gli studi sono stati inclusi se i loro autori avevano fornito i dati originali necessari, se avevano incluso pazienti adulti ambulatoriali e un paragone di farmaco vs placebo per almeno 6 settimane, se non avevano escluso pazienti sulla base di un periodo di washout del placebo, e se avevano usato la Hamilton Depression Rating Scale (HDRS). Sono stati inclusi dati derivanti da 6 studi (718 pazienti).

Estrazione dei dati I dati a livello di paziente singolo sono stati ottenuti dagli autori degli studi.

Analisi statistica La prima analisi statistica ha studiato la relazione tra gravità dei sintomi iniziali e successiva modifica dei sintomi derivante dall’assunzione fino alla fine del trattamento acuto. E’ stato usato un approccio modificato intent-to-treat secondo il quale è stato utilizzato il campione più inclusivo analizzato nelle pubblicazioni originali di ciascuno dei 6 studi.
Per studiare l’associazione tra gravità iniziale e modifica degli score dei sintomi in ADM vs placebo sono state condotte analisi di covarianza che hanno controllato l’effetto dello studio dal quale i dati sono originati. Per individui che hanno sospeso il trattamento, è stato usato l’ultimo score del paziente prima della sospensione (l’ultima osservazione riportata) per calcolare il cambio di score. Variabili continue sono state centrate alla loro grande media, e termini non significativi di interazione di ordine più elevato sono stati rimossi dai modelli. Il livello di significatività era posto a P < 0,5.

Risultati

Le differenze tra farmaco e placebo si sono diversificate sostanzialmente in funzione della severità iniziale. Tra pazienti con score HDRS sotto 23, la stima dell’effetto, secondo l’indice d di Cohen, della differenza tra farmaco e placebo è stata ritenuta essere meno di 0.20 (una definizione standard di un piccolo effetto). Stime di grandezza della superiorità del farmaco sul placebo sono aumentate con l’aumento della severità della depressione iniziale ed hanno incrociato le soglie definite dal National Institute for Clinical Excellence per una significativa differenza clinica allo score iniziale HDRS di 25.

CONCLUSIONI degli AUTORI

I risultati presenti indicano che l’efficacia del trattamento ADM per depressione varia in maniera considerevole in funzione della gravità dei sintomi. Gli effetti farmacologici (un vantaggio dell’ADM rispetto a placebo) sono da non esistenti a trascurabili tra pazienti depressi con sintomi iniziali medi, moderati ed anche gravi, mentre sono molto ampi per pazienti con sintomi molto gravi. Per score di HDRS di gravità iniziale inferiori a 25, le stime di grandezza delle differenze farmaco/placebo non hanno incrociato nessuna delle 2 soglie di significatività clinica proposte dal NICE. Invece, per pazienti con più alti livelli di gravità iniziale di depressione, l’ADM era marcatamente superiore al placebo.

Come documentato nella analisi di Zimmerman e coll. di trials pubblicati di efficacia ed in quelle di Kirsch e coll. e di Khan e coll. di studi commissionate dalla FDA, l’evidenza riguardante gli effetti dell’ADM in pazienti con MDD media e moderata sono stati scarsi. I nostri risultati sostanzialmente si aggiungono alla conoscenza degli effetti dell’ADM nel range completo di gravità sintomatologica in pazienti diagnosticati con depressione. Questi risultati sono coerenti con un accordo che ha informato i criteri di entrata usati nella registrazione dei trials di ADM, nei quali sono stati tipicamente imposti score di cut off di 18 o maggiori. Come hanno notato Zimmerman e coll., utilizzando questi cut off ci si può aspettare di escludere quasi la metà di tutti i pazienti che incontrano i criteri diagnostici di MDD.

LIMITI dello studio ammesse dagli Autori

• Tutti gli studi utilizzati nella corrente indagine hanno imposto un minimo di criteri di gravità iniziale. Poiché è stata registrata soltanto una piccola proporzione di pazienti con score iniziali HDRS di 13 o più bassi, i risultati della corrente indagine possono non essere generalizzabili a pazienti singoli.
• Quando viene richiesto uno score minimo per l’entrata nello studio, i clinici diagnostici dello studio spesso talvolta inavvertitamente gonfiano lo score dei pazienti il cui vero score è appena al di sotto del cut off. Non abbiamo evidenze che questo sia avvenuto nel set di dati corrente, ma se fosse avvenuto, avremmo lavorato contro l’ipotesi che la gravità modera l’esito. Per giunta, l’inclusione degli studi con livelli differenti di gravità minima avrebbe mitigato qualunque bias che tale stima di inflazione avrebbe potuto creare.
• Gli score HDRS sono stati usati come misura di esito primario per tutte le analisi. L’HDRS è stata la misura più comunemente usata di gravità dei sintomi nei trial clinici di ADM, ma le proprietà psicometriche della misura sono state criticate. Sforzi futuri potrebbero utilizzare misure alternative di sintomi per esaminare gli effetti della gravità iniziale sull’esito del trattamento.
• Poiché pochi studi in letteratura riportano la grandezza della gravità iniziale X effetto di interazione del trattamento, è difficile valutare il ruolo dei bias di pubblicazione in questo report.
• Infine, i risultati qui riportati riguardano solo il trattamento in acuto e non la continuazione o il mantenimento del trattamento.


CONCLUSIONI FINALI

Appare prematuro speculare a riguardo del se la superiorità crescente dell’ADM rispetto al placebo al crescere della gravità sia dovuta ad una aumentata efficacia dell’ADM rispetto a placebo oppure ad una efficacia calante del placebo. Alcuni studi hanno dimostrato che l’ADM è superiore al placebo per pazienti con distimia, una condizione definita in parte da livelli più bassi di sintomi rispetto al MDD. Studi sulla distimia indicano che l’ADM può produrre un vero effetto farmacologico in pazienti con sintomi depressivi medi o moderati. Tuttavia, la distimia è per definizione una condizione cronica, e la cronicità è nota per la sua associazione ad una scarsa risposta al placebo. Pertanto, può darsi che sia la natura cronica della distimia a spiegare il vantaggio dell’ADM in queste condizioni. Lavori futuri dovrebbero esaminare se le cronicità moderino le differenze ADM/placebo attraverso il range di gravità iniziale. Il pattern generale dei risultati riportati in questo lavoro non è sorprendente. A partire dal 1950, vari ricercatori hanno condotto ricerche di trattamento per un’ampia varietà di condizioni mediche e psichiatriche che hanno descritto un fenomeno secondo il quale pazienti con livelli più elevati di gravità avevano mostrato benefici differenziali maggiori (ad es., specifici) dai trattamenti attivi. Ciò che rende i nostri risultati sorprendenti è l’alto livello di gravità dei sintomi depressivi che compare quando viene richiesto per far emergere differenze clinicamente significative farmaco/placebo, in particolare data l’evidenza che la maggior parte dei pazienti che ricevono ADM nella pratica clinica presentano score al di sotto di questi livelli. I prescrittori, i politici, e i consumatori possono non essere consapevoli che l’efficacia dei farmaci è stata ampiamente stabilita sulla base di studi che hanno incluso soltanto individui con forme più severe di depressione. Questo aspetto importante evidenza non si riflette nei messaggi impliciti presenti nel marketing di questi farmaci rivolto ai clinici e al pubblico. Una piccola menzione al fatto che i dati di efficacia spesso derivano da studi che escludono proprio quei pazienti con MDD che ricevono un piccolo specifico beneficio farmacologico dall’assunzione dei farmaci. Finchè non avremo risultati contrari a questi e a quelli ottenuti da Kirsch e coll. e da Khan e coll., si dovrebbe chiarire ai medici ed ai pazienti che laddove l’ADM può avere un effetto sostanziale nelle depressioni più severe, vi è una piccola evidenza che suggerisce che essi producano uno specifico beneficio farmacologico per la maggior parte dei pazienti con depressioni acute meno gravi.

Fonte

C. Fournier, Robert J. DeRubeis, Steven D. Hollon, Sona Dimidjian, Jay D. Amsterdam, Richard C. Shelton, Jan Fawcett: Antidepressant Drug Effects and Depression Severity. A Patient-Level Meta-analysis Jay . JAMA. 2010;303(1):47-53


Confllitti di interesse

Il dr Amsterdam ha dichiarato di lavorare allo speakers’ bureau della Wyeth Pharmaceuticals e della Bristol Myers Squibb; di ricevere supporti alla ricerca da Novartis, Eli Lilly, Sanofi, Cephalon, e Forest Laboratories; e di essere consulente della Bristol Myers Squibb. IL dr Shelton ha dichiarato di lavorare come consulente per AstraZeneca, Eli Lilly, Evotec, Forest Pharmaceuticals, Gideon Richter, Janssen Pharmaceuticals, Merck, Novartis Pharmaceuticals, Ostuka Pharmaceuticals, Pamlab, Pfizer, Repligen, Sierra Neuropharmaceuticals, e Wyeth; di ricevere onorari da AstraZeneca, Eli Lilly, Forest Pharmaceuticals,
GlaxoSmithKline, Pamlab, Pfizer, e Wyeth; e di ricevere supporti alla ricera o grant a Bristol Myers Squibb, Eli Lilly, Evotec, Forest Pharmaceuticals, GlaxoSmithKline, Janssen Pharmaceuticals, Novartis Pharmaceuticals, Ostuka Pharmaceuticals, Pamlab, Pfizer, Repligen, e Wyeth. IL Dr Fawcett ha dichiarato di lavorare come consulente a Abbott Laboratories, Merck, and Slack; di ricevere onorari da Eli Lilly; e di essere un membro del comitato per il Berman Center e per la organizzazione no profit NARSAD e per la Depression and Bipolar Support Alliance. Il dr Fawcett ha anche dichiarato di fornire testimonianze esperte su casi che coinvolgono compagnie farmaceutiche inclusa la Banner Health e Alphapharm e di presiedere attualmente il Mood Disorders Work Group per la imminente revisione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (Quinta Edizione).


Commento di Patrizia Iaccarino

Il presente lavoro manda l’implicito messaggio che, in realtà, non sappiamo niente (prevalentemente per gli errati criteri di inclusione nei trials esistenti) circa il reale effetto (farmacologico o placebo) dell’ADM nelle forme di depressione minore o media, che sono quelle più viste e trattate nel setting della medicina generale, lasciando aperta la porta ad una doppia possibilità: da un lato se veramente gli antidepresssivi non sono efficaci in queste forme minori di depressione, allora si deduce che vengono prescritti impropriamente con rapporto rischio/beneficio a favore del primo, dall’altro, invece, si potrebbe sottostimare il loro beneficio anche nelle forme moderate o lievi di depressione. A giudicare dai conflitti di interesse dichiarati dagli autori, si potrebbe ipotizzare che si siano volute criticare le precedenti metanalisi commissionate dalla FDA per rivalutare il ruolo dell’ADM nelle forme meno gravi di depressione. Eppure, qualche dubbio sugli studi e sui loro criteri di inclusione viene insinuato. Tutto questo porta a ribadire la necessità di lavori osservazionali nella medicina di realtà (pragmatical trials).
Intanto, continua a “piovere” sugli antidepressivi, nascono dubbi sui loro gravi effetti collaterali (vedi http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4923 ) e vengono date interpretazioni differenti rispetto al loro uso.
A tale proposito ci piace citare questa dichiarazione fatta dallo scrittore ed esperto Ethan Watters, nella presentazione del suo libro "Pazzi come noi, la globalizzazione delle malattie mentali", sul magazine britannico New Scientist: “L’America sta esportando le malattie mentali nel mondo ovvero il disagio psichico in tutti i paesi ricalca i problemi degli americani. Sindromi come depressione e stress post-traumatico stanno dilagando nel mondo a ritmi inverosimili, come fossero malattie contagiose.” Secondo Ethan Watters, in buona parte la globalizzazione del disagio psichico americano è foraggiata dagli interessi delle case farmaceutiche a trovare altri mercati per i propri farmaci. I disturbi più esportati dagli Usa sono il disturbo da stress post-traumatico, l'anoressia, la schizofrenia e la depressione. Secondo Watters psichiatri e antropologi che studiano la malattia mentale nei vari paesi hanno scoperto che i disturbi della psiche non sono distribuiti ugualmente nelle diverse nazioni, ma che la loro presenza o addirittura l'idea stessa che essi esistano varia a seconda del background etnoculturale di ogni singolo paese. Per esempio in Giappone la nozione di depressione come malattia era scarsamente accettata e si tendeva a considerare malattia solo lo stato depressivo grave che però interessava pochissimi nipponici; i sintomi meno gravi, invece, erano visti come normali 'malumori' dovuti ai problemi dell'esistenza quotidiana e quindi tutto sommato accettabili perché in grado di fortificare il carattere. Eppure secondo Watters, per intervento delle case farmaceutiche intenzionate a conquistare nuovi mercati, questa visione in Giappone è radicalmente cambiata e tale cambiamento è coinciso con l'aumento vertiginoso delle vendite di antidepressivi nell'isola. "La nozione occidentale delle malattie mentali - conclude Watters - è una delle più insidiose voci di esportazione degli Usa, e queste malattie si stanno diffondendo nel mondo come un contagio"). (ANSA)
D’altro canto, come sostiene il sociologo Alain Ehrenberg nel suo bellissimo libro “La fatica di essere se stessi”: “In una società i cui modelli di iniziativa individuale sono assai pronunciati e in cui la responsabilità dei fallimenti pesa in misura particolare sulle fasce socialmente più deboli, la medicina dei comportamenti ha la sua legittimità e noi non vediamo in nome di quale principio etico dovremmo demonizzarla. Occorre solo fare chiarezza sulle procedure terapeutiche e indicarne schiettamente i limiti, invece di alimentare una confusione inutile, per non dire nefasta. E’ meglio ripeterlo: il sociologo e lo storico non devono insegnare alle persone come devono pensare e come devono vivere”.

Al medico di medicina generale l’arduo costante compito, di fronte al singolo paziente, di scegliere tra il rischio di medicalizzare un disagio risolvibile (laddove sono possibili altri interventi) e la possibilità di un sostegno farmacologico laddove, invece, altro non si può fare, sempre decidendo secondo le migliori evidenze disponibili, la propria esperienza clinica e, soprattutto, i desiderata dei pazienti, come sosteneva Sackett.

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