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Duro colpo alle linee guida sul diabete da parte dei due studi ACCORD
Inserito il 16 marzo 2010 da admin. - metabolismo - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Due studi del gruppo ACCORD suggeriscono, nel diabetico tipo 2, l'inutilità da una parte di un controllo intensivo della pressione arteriosa sistolica (inferiore a 120 mmHg) e dall'altra dell'aggiunta di fenofibrato alla terapia con statine.


Due studi portati a termine dall'ACCORD Group sono stati presentati il 14 marzo 2010 alla Conferenza Annuale dell'American College of Cardiology e contemporaneamente pubblicati online dal New England Journal of Medicine.
Il primo studio [1] aveva lo scopo di valutare se, in pazienti con diabete tipo 2, cercare di arrivare ad una pressione arteriosa sistolica inferiore a 120 mmHg riduca gli eventi cardiovascolari rispetto a valori al di sotto di 140 mmHg. A tal scopo sono stati reclutati 4.733 diabetici tipo 2 ad alto rischio (età media 62 anni; 52% di sesso maschile; emoglobina glicosilata media di 7,5%; pressione sistolica di 130-180 mmHg), già in trattamento con tre antiipertensivi e senza proteinuria. I partecipanti sono stati randomizzati a due gruppi: controllo pressorio intensivo (target PAS < 120 mmHg) e controllo pressorio standard (target PAS < 140 mmHg). Il follow up mediano è stati di 4,7 anni. L'end poit primario era composto da infarto miocardico non fatale, ictus non fatale, decessi da cause cardiovascolari.
Dopo un anno la PAS era, mediamente, di 119,3 mmHg nel gruppo "controllo intensivo" e di 133,5 mmHg nel gruppo "controllo standard". Tuttavia non si registrò una differenza statisticamente significativa tra i due gruppi per quanto riguarda l'end point primario: 1,85% per anno contro 2,09% (HR 0,88; 0,73-1,06; P = 0,02). Non si notarono differenze statisticamente significative neppure per i decessi da cause cardiovascolari: 1,28% per anno contro 1,19% (HR 1,07; 0,85-1,35;p = 0,55). Le analisi secondarie non mostravano nessun effetto particolarente positivo della terapia intensiva se si eccettua una diminuzione dell'ictus: 0,32% per anno contro 0,53 (HR 0,59; 0,39-0,89; p = 0,01).
Eventi avversi gravi (per esempio sincope, bradicardia, iperpotassiemia, ipotensione) causati dalla terapia antipertensiva si verificarono in 77 dei 2.362 pazienti del gruppo intensivo (3,3%) e in 30 dei 2.371 del gruppo controllo standard (1,3%), con una differenza statisticamente significativa
(p < 0,001).

Nel secondo studio [2] sono stati arruolati 5.518 diabetici tipo 2 (età media 62 anni; 31% donne; glicoemoglobina media 7,5%; LDL colesterolo 60-180 mg/dL e HDL colesterolo < 55 mg/dL) che assumevano simvastatina in aperto. Dopo randomizzazione i partecipanti sono stati trattati con fenofibrato oppure placebo. L'endpoint primario era lo stesso del primo studio. Il follow up mediano è stato di 4,7 anni.
In entrambi i gruppi il colesterolo LDL passò da valori medi di 100 mg/dL a 80 mg/dL. I valori medi di colesterolo HDL passarono da 38 mg/dL a 41,2 mg/dL nel gruppo fenofibrato e a 40,5 mg/dL nel gruppo placebo. I trigliceridi passarono da valori medi di 180 mg/dL a 147 mg/dL nel gruppo fenofibrato e a 170 mg/dL nel gruppo controllo.
La frequenza annuale dell'endpoint primario fu del 2,2% nel gruppo fenofibrato e del 2,4% nel gruppo placebo (HR 0,92; 0,79-1,08; p = 0,32). Non si notarono differenze per nessuno degli endpoint secondari. I decessi furono 1,5% per anno e 1,6% rispettivamente (HR 0,91: 0,75-1,10; p = 0,33).
Le analisi per sottogruppi suggeriscono che potrebbe esserci un beneficio per gli uomini e possibili rischi per le donne. Inoltre potrebbe esserci un beneficio per i pazienti con elevati trigliceridi e bassi livelli di colesterolo HDL.
I pazienti trattati con fenofibrato abbandonarono lo studio più frequentemente del gruppo placebo (2,4% contro 1,1%) a causa del riscontro di una riduzione della funzionalità renale.
Gli autori concludono che non appare giustificato associare il fenofibrato alla statina nella maggior parte dei diabetici tipo 2.


Fonte:

1. The ACCORD Study Group. Effects of intensive blood-pressure control in type 2 diabetes mellitus. N Engl J Med 2010 Mar 14; http://dx.doi.org/10.1056/NEJMoa1001286
2. The ACCORD Study Group. Effects of combination lipid therapy in type 2 diabetes mellitus. N Engl J Med 2010 Mar 14; http://dx.doi.org/10.1056/NEJMoa1001282



Commento di Renato Rossi

Gli studi ACCORD (Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes) assestano un duro colpo alle linee guida sul diabete. Già il primo studio aveva suggerito che un controllo troppo intensivo della glicemia può portare ad esiti negativi [1]. Infatti, le ultime raccomandazioni, sulla scorta di questo e di altri trials (ADVANCE, VADT) consigliano, nella maggior parte dei diabetici tipo 2, soprattutto quelli di vecchia data, di accontentarsi d'arrivare a livelli di emoglobina glicata attorno a 7% - 7,5%.
Ora i due nuovi RCT rincarano la dose, in particolare laddove le linee guida consigliano un target pressorio ottimale nel paziente diabetico tipo 2.
Come si è più volte ripetuto un RCT deve essere giudicano sulla base del risultato ottenuto sull'endpoint primario. In questo senso i due trials hanno avuto esito negativo. Nel primo studio la maggior riduzione della pressione arteriosa sistolica ottenuta nel gruppo "controllo intensivo" non è stata sufficiente a portare a benefici clinici "hard".
Nel secondo studio l'aggiunta di fenofibrato alla terapia con statina, pur riducendo maggiormente i livelli basali di trigliceridi (che spesso risultano aumentati nel diabetico), non ha ridotto nessuno degli outcomes valutati.
Alcuni risultati apparentemente positivi (come per esempio la riduzione dell'ictus osservata nel gruppo randomizzato a PAS < 120 mmHg oppure possibili benefici osservati con il fenofibrato in alcune analisi per sottogruppi) debbono essere visti come ipotesi da confermare con RCT disegnati ad hoc.
Cosa rimane da dire? Ci sembra che le lezioni da trarre siano sostanzialmente due.
La prima: viene confermato ancora una volta che non necessariamente un beneficio su un endpoint surrogato (come in questo caso la pressione arteriosa e la trigliceridemia) si traduce in qualcosa di utile e importante per i pazienti, cioè una riduzione di eventi clinici hard, che sono quelli che contano.
La seconda: bisognerebbe prendere atto che spesso gli obiettivi suggeriti dalle linee guida, quando non sono addirittura privi di solide basi di evidenza, appaiono, comunque, spesso difficili, se non impossibili, da raggiungere nella pratica. Per arrivarci è quasi sempre necessario sottoporre i pazienti a regimi farmacologici particolarmente complessi che ne minano la compliance a lungo termine. A questo aggiungiamo che, anche quando si raggiungono, i risultati sugli endpoint clinici lasciano molto spesso a desiderare, come i tre studi ACCORD stanno a dimostrare.
La conclusioni non dovrebbe essere difficile: molto meglio accontentarsi di obiettivi più modesti, ma che siano realistici e che, soprattutto, siano sostenibili nel lungo periodo.
Non è inutile ricordare che terapie irrealistiche costituiscono solo uno spreco per i servizi sanitari e un pericolo per il paziente che non vi aderisce. Per un medico è preferibile avere tutti i suoi diabetici con valori di glicoemoglobina attorno a 7-7,5% e con valori di pressione sistolica inferiori a 140 mmHg, piuttosto che averne alcuni con un equilibrio glicemico e pressorio strettamente controllati e la maggior parte scompensata perchè non assume i troppi farmaci prescritti o li abbandona per la comparsa di effetti collaterali.



Referenze

1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3795






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