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Bifosfonati e fratture atipiche di femore
Inserito il 05 febbraio 2012 da admin. - ortopedia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

L' AIFA ha pubblicato una nota informativa sul rischio di fratture atipiche del femore associate all’uso di bisfosfonati.


Le fratture atipiche del femore sono considerate un effetto di classe dei bisfosfonati e un’avvertenza relativa a questo rischio è stata aggiunta alle informazioni del prodotto di tutti i medicinali contenenti bisfosfonati.

In questa nota l’AIFA ricorda che, con la terapia dei bisfosfonati, in particolare nella terapia a lungo termine per l’osteoporosi, sono state segnalate raramente le fratture atipiche del femore; esse si verificano spontaneamente o dopo un trauma minimo e alcuni pazienti manifestano dolore alla coscia o all’inguine, spesso associato a evidenze di diagnostica per immagini di fratture da stress, settimane o mesi prima del verificarsi di una frattura femorale completa. E’ stata riportata una difficile guarigione di queste fratture.

Si conclude, comunque, che il bilancio complessivo dei benefici e dei rischi dei singoli bisfosfonati nelle indicazioni terapeutiche autorizzate rimane favorevole.


Raccomandazioni per i medici:

- Le fratture sono spesso bilaterali, pertanto nei pazienti in trattamento con bisfosfonati che hanno subito una frattura della diafisi femorale, deve essere esaminato il femore controlaterale. Nei pazienti con sospetta frattura atipica femorale si deve prendere in considerazione l’interruzione della terapia con bisfosfonati sulla base di una valutazione individuale dei benefici e dei rischi sul singolo paziente.

- Durante il trattamento con bisfosfonati i pazienti devono essere informati di segnalare qualsiasi dolore alla coscia, all’anca o all’inguine e qualsiasi paziente che manifesti tali sintomi deve essere valutato per la presenza di un’incompleta frattura del femore.

- La durata ottimale del trattamento con bisfosfonati per l’osteoporosi non è stata ancora stabilita. La necessità di un trattamento continuativo deve essere rivalutata periodicamente in ogni singolo paziente in funzione dei benefici e rischi potenziali della terapia con bisfosfonati, in particolare dopo 5 o più anni d’uso




Referenze

1. http://goo.gl/aefmd
2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=5121
3. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=5189
4. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=5315



A cura di Patrizia Iaccarino


Commento di Luca Puccetti

Le fratture atipiche si verificano dopo un utilizzo prolungato di bisfosfonati. E' interessante notare che, contrariamente a quanto avviene nei trials, ove i pazienti sono strettamente monitorati e spesso si verifica l'assunzione di ogni singola dose prevista dal protocollo, nell'uso tipico, ossia nella pratica clinica routinaria, è molto frequente l'utilizzo di bisfosfonati senza la contemporanea assunzione di calcio e vitamina D. E' ben noto che molti pazienti non tollerano bene il calcio specialmente per eventi avversi o semplici disconforts a livello del tratto gastroenterico consistenti in dispepsia, stipsi ed algie addominali.
E' comune osservare che il paziente, dopo un certo numero di settimane non chiede più il rinnovo della prescrizione del calcio o dell'associazione calcio e vitamina D. E' proprio questa condizione che può favorire la comparsa di fratture atipiche per l'instaurarsi di un iperparatiroidismo secondario indotto dagli stessi bisfosfonati.
Oltre a tale meccanismo, anche l'accumulo stesso dei bisfosfonati a livello del tessuto osseo può costituire un fattore di rischio per l'insorgenza delle fratture atipiche.
E' pertanto opportuno sensibilizzare il paziente in terapia con bisfosfonati per osteoporosi ad assumere regolarmente il calcio prescritto ovvero, nei pazienti intolleranti, prescrivere una dieta contenente calcio e supplemetazioni per os di vitamina D, anche per boli settimanali o mensili, controllando che l'assunzione avvenga veramente tramite il dosaggio della OHVitD3 e che siano raggiunti livelli plasmatici adeguati. E' ben noto infatti, fin dallo studio SENECA, che anche alle latitudini italiane i livelli plasmatici di vitamina D sono largamente deficitari rispetto ai fabbisogni raccomandati, anche pr la mancanza di supplementazione della vitamina D nei cibi.

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