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Il laboratorio: opportunità e limiti - 1
Inserito il 13 gennaio 2013 da admin. - scienze_varie - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Una serie di articoli che esaminano le criticità e le opportunità offerte dagli esami di laboratorio.


Il medico, nel suo percorso per arrivare alla diagnosi, si avvale anzitutto dell'anamnesi e dell'esame obiettivo. Tuttavia, spesso, deve ricorrere agli esami di laboratorio per perfezionare, convalidare od escludere una determinata ipotesi. Il lavoro può venire paragonato a quello di un detective che, per scoprire l’assassino, deve valutare una serie più o meno numerosa di indizi e prove, fino al capitolo finale dove viene smascherato il colpevole.
Gli esami di laboratorio e quelli strumentali possono essere assimilati agli indizi presenti nella scena del crimine, tra i quali il medico deve scegliere quelli più utili e pertinenti.

Si ritiene comunemente che il risultato di un test di laboratorio possa essere tout court interpretato come "normale" o "anormale". In realtà un modo siffatto di affrontare la questione è molto riduttivo della complessa realtà biologica che sottostà a qualsiasi test. Vi sono punti critici che è necessario conoscere e che tratteremo in una serie di sei pillole.

Gli argomenti trattati saranno:
- l'intervallo di riferimento
- la probabilità di un risultato anomalo
- la variabilità di un test
- i falsi positivi e i falsi negativi
- la scelta del valore cut off
- la giusta sequenza degli esami

In questa prima pillola esamineremo le problematiche legate all'intervallo di riferimento.




L'intervallo di riferimento


Di solito il laboratorio, quando fornisce il risultato di un esame, riporta anche il range di variabilità di quell'esame come un intervallo di valori. Può essere fuorviante interpretare questo intervallo come limite di "normalità" per cui tutti i valori che cadono al di fuori di esso sono espressione di patologia.
In primis questo presuppone che si possa definire chiaramente, con un tratto netto di penna, quando una persona è sana e quando è malata. In realtà per molte malattie non esiste il "bianco" ed il "nero" ma tutta una serie di gradazioni e di toni. Si prenda per esempio la glicemia e si ponga che l'intervallo di normalità sia compreso tra 70 mg/dL e 110 mg/dL, che valori compresi tra 111 mg/dL e 125 mg/dL definiscano la ridotta tolleranza al glucosio mentre per valori superiori a 125 mg/dL si ponga la diagnosi di diabete. In realtà è noto che il rischio di sviluppare le complicanze della malattia diabetica sono in relazione continua con i valori della glicemia, senza che vi sia un valore soglia che separa nettamente il rischio dal non rischio. E' ovvio che tanto più elevata è la glicemia e tanto maggiore è il rischio e viceversa.
Si potrà affermare con sicurezza che un paziente con 124 mg/dL di glicemia non è diabetico mentre lo è quello con valori di 126 mg/dL?
E nello stesso modo si potrà dire sano un individuo con valori di glicemia di 108 mg/dL e malato uno con valori di 112 mg/dL?
E' evidente che l'interpretazione corretta dell'intervallo di riferimento necessita dell'opera di intermediazione del medico, il quale dovrà tener conto non solo del valore della glicemia trovata in quel singolo paziente, ma anche di altri fattori di rischio per le note complicanze cardiovascolari del diabete. La cosa riveste notevole importanza in quanto le implicazioni terapeutiche devono tener conto del complesso di questi fattori più che del valore della sola glicemia. Per esempio avrà un rischio cardiovascolare più elevato un soggetto con valori di glicemia a digiuno di 128 mg/dL, e quindi formalmente diabetico, ma nessun altro fattore di rischio associato oppure un paziente obeso con valori di glicemia a digiuno di 120 mg/dL, che formalmente non può essere definito diabetico, ma che abbia numerosi fattori di rischio cardiovascolare associati (per esempio, fumo, ipertensione, familiarità per cardiopatia ischemica, etc.)?

Nella tabella che segue si mostra qual è il rischio di un primo evento cardiovascolare di un uomo di 55 anni con due diversi valori di glicemia, il primo definibile come diabetico, il secondo definibile “normale” (il calcolo è stato effettuato con il software elaborato dall’Istituto Superiore di Sanità, reperibile al sito: http://www.cuore.iss.it).



Uomo di 55 anni non fumatore
pressione arteriosa sistolica: 120 mmHg
colesterolo totale: 200 mg/dL
colesterolo HDL: 45 mg/dL
uso di farmaci antipertensivi: NO
glicemia a digiuno (confermata in due determinazioni): 128 mg/dL
rischio di un primo evento cardiovascolare a 10 anni: 5,8%


Uomo di 55 anni fumatore
pressione arteriosa sistolica: 150 mmHg
colesterolo totale: 250 mg/dL
colesterolo hadl: 45 mg/dL
uso di farmaci antipertensivi: SI
glicemia a digiuno (valori confermati in due determinazioni): 110 mg/dL
rischio di un primo evento cardiovascolare a 10 anni: 18,7%



Come si può vedere nel primo caso, pur in presenza di valori glicemici indicativi di diabete il rischio di un primo evento cardiovascolare a 10 anni è di circa un terzo rispetto al paziente, formalmente non diabetico, ma con una costellazione di altri fattori di rischio cardiovascolare.


Renato Rossi



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