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Modello farmacogenomico per dosare il warfarin
Inserito il 27 novembre 2013 da admin. - scienze_varie - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

L’uso dell’algoritmo farmacogenetico potrebbe migliorare notevolmente la gestione di un farmaco poco maneggevole come il warfarin consentendo di individuare il dosaggio più idoneo soprattutto nelle fasi iniziali della terapia evitando, in questo modo, temibili reazioni avverse.


La terapia anticoagulante con warfarin: un modello farmacogenetico per individuare la dose efficace in una popolazione dell’Italia meridionale

Nonostante l’introduzione in commercio dei nuovi farmaci per la terapia anticoagulante orale (TAO) come il dabigratan, il rivaroxaban e l’apixaban, il warfarin (coumadin) rappresenta ancora la terapia di prima linea nei pazienti con protesi valvolare meccanica o con fibrillazione atriale non valvolare. Il warfarin inibisce il complesso enzimatico Vitamin K Epoxide Reductase Complex 1 (VKORC1) riducendo di conseguenza l’attività dei fattori della coagulazione (II,VII, IX e X) dipendenti dalla Vit K. L’enantiomero S-warfarin è la forma farmacologicamente più attiva ed è metabolizzato prevalentemente dall’isoforma enzimatica, CYP2C9. Anche se l’effetto anticoagulante è stato stabilito e largamente confermato, il trattamento con warfarin è limitato dalla sua scarsa maneggevolezza. L’effetto anticoagulante è misurato attraverso la stima del tempo di protrombina con l’INR (International Normalized Ratio), indice che deve ricadere nel range “terapeutico” di 2,0-3,0, oppure 2,5-3,5 secondo il tipo di paziente.
Livelli inappropriati di INR sono associati a rischio elevato di sanguinamento (valori superiori al range terapeutico) o di tromboembolismo (valori inferiori al range terapeutico) in particolare durante le prime settimane di trattamento (fase d’induzione). La maggior parte dei medici prescrive 3-10 mg/die per i primi 2-5 giorni per poi stabilire una dose “di mantenimento” sulla base del monitoraggio dell’INR.
Le reazioni avverse da warfarin rappresentano più del 10% di tutte quelle che comportano un ricovero ospedaliero. È stato stabilito che esiste una grande variabilità interindividuale nella risposta a questo anticoagulante che dipende da fattori clinici, demografici e ambientali, ma che in larga misura (40-60%) è dovuta a fattori genetici. I polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs) nel gene per il CYP2C9 e nel gene per VKORC1 sono stati i primi a essere descritti e sono i maggiori responsabili della variabilità interindividuale. Gli individui portatori di queste varianti genetiche richiedono dosi di farmaco più alte o più basse dei soggetti wild type per ottenere l’effetto anticoagulante. Recentemente è stato osservato che un altro SNP, nel gene CYP4F2, potrebbe essere associato all’esigenza di dosi leggermente più alte della norma. Nel 2007 la Food and Drug Administration (FDA) ha suggerito di tipizzare i pazienti per gli SNPs di CYP2C9 e VKORC1 prima di iniziare la TAO con warfarin. Da allora sono stati portati a termine numerosi trials clinici ed è stato sviluppato un algoritmo farmacogenetico che include fattori genetici e non genetici. Lo scopo di questo studio è stato valutare l’influenza degli SNPs nei geni CYP2C9, VKORC1 e CYP4F2 insieme a fattori di tipo clinico, demografico e ambientale in una popolazione delI’Italia meridionale.
Sono stati arruolati (presso quattro centri) 206 pazienti provenienti dal sud-Italia in terapia con warfarin. Tutti avevano raggiunto un valore di dose stabile (INR compreso tra 2 e 3) in un periodo di tre mesi dall’inizio della terapia. Il DNA genomico dei pazienti è stato estratto da prelievi di sangue periferico utilizzando kit commerciali. La genotipizzazione è stata eseguita per i seguenti SNPs: CYP2C9*2 (rs1799853), CYP2C9*3 (rs1057910); CYP4F2*3 (rs2108622) e VKORC1 -1639 G>A (rs9923231) mediante Real Time TaqMan assay e per gli SNPs, VKORC1 1173 C>T (rs9934438) e VKORC1 3730 G>A (rs7294) mediante DHPLC e direct sequencing.
Nella popolazione in studio, metà uomini e metà donne, la sostituzione di valvola e la fibrillazione atriale erano le indicazioni più frequenti per la TAO con warfarin (rispettivamente 43,9% e 38,1%). Il 43,2% dei pazienti non assumeva altri farmaci oltre al warfarin. Dall’analisi di associazione tra la dose settimanale di warfarin assunta dagli individui con gli alleli wild type (CP2C9*1) e dai pazienti portatori delle varianti, è emerso che i portatori dei genotipi CP2C9*1/*3, *2/*3 e *3/*3 richiedevano una dose di farmaco significativamente più bassa dei wild type (*1/*1). La dose settimanale richiesta di farmaco era significativamente più bassa anche per i portatori (sia omozigoti, che eterozigoti) della variante VKORC1 -1639 G>A. Inoltre la presenza contemporanea degli SNPs a carico di CYP2C9 e VKORC1 riduceva ulteriormente la dose efficace di anticoagulante. Lo SNP VKORC1 3730 G>A faceva alzare leggermente il valore della dose efficace rispetto ai wild type e nessuna differenza è stata trovata negli individui con le varianti VKORC1 1173 C>T o CYP4F2*3. La mancanza di linkage disequilibrium tra VKORC1 -1639 G>A e VKORC1 3730 G>A è un dato che contrasta quello di altri studi. In percentuale, il contributo delle varianti esaminate era pari al 29,7% per VKORC1 -1639 G>A; 11,8% per CP2C9*3; 8,5% per l’età; 3,5% per CP2C9*2; 2,0% per il genere e 1,7% per CYP4F2*3. I polimorfismi VKORC1 3730 G>A e VKORC1 1173 C>T esercitavano un’influenza marginale (<1%). In sintesi, nella popolazione analizzata i fattori genetici descritti, erano responsabili del 58,4% della variabilità della dose richiesta per garantire l’efficacia del warfarin e del 57,2% dopo l’esclusione delle varianti VKORC1 3730 G>A e VKORC1 1173 C>T, correlate rispettivamente con dosi più basse e più alte di farmaco.
In questo studio, con riferimento alle varianti CP2C9*2, CP2C9*3, CYP4F2*3 e VKORC1 (-1639 G>A, 3730 G>A e 1173 C>T), sono state individuate frequenze simili a quelle ritrovate in altre popolazioni caucasiche, tranne che per una prevalenza leggermente superiore dello SNP VKORC1 -1639 A/A (25% vs 20,8%). La dose richiesta di warfarin era più bassa del 17% negli individui portatori della variante CP2C9*2 e del 32% nei portatori del polimorfismo CP2C9*3 in linea con le percentuali riportate in studi precedenti. Inoltre, una riduzione della dose è stata evidenziata anche nei pazienti con il VKORC1 -1639 G>A e anche questa percentuale è in linea con quanto riportato in altri studi. In contrasto con i dati sviluppati in altri pazienti italiani, in questo studio è stata trovata un’associazione molto debole tra lo SNP VKORC1 1173 C>T e la dose richiesta di anticoagulante (0,8% in questo studio vs 20% e 13,8% in altri gruppi). Inoltre, in questa popolazione del sud-Italia non è stato trovato un linkage disequilibrium tra le varianti VKORC1 -1639 G>A e 1173 C>T. Questi dati sottolineano l’esistenza di una grande variabilità nell’associazione tra tali polimorfismi e la dose richiesta di warfarin, tuttavia, dovrebbero essere confermati in una coorte più ampia d’individui. Un dosaggio più elevato di warfarin è invece richiesto nei soggetti omozigoti ed eterozigoti per VKORC1 3730 G>A e, per quanto riguarda lo SNP CYP4F2*3 è stato osservato un modesto effetto in accordo con alcuni studi, ma in disaccordo con altri. Per quanto riguarda i fattori non genetici, è stata evidenziata un’influenza sulla dose richiesta di farmaco da parte dell’età e del genere in linea con i dati riportati da altri autori. Il dosaggio efficace di warfarin determinabile con l’algoritmo farmacogenetico proposto in questo studio correla con quello derivabile dall’utilizzo degli algoritmi del Warfarindosing e Pharmgkb, che, tuttavia, utilizzano una quantità di variabili superiore.

Questo studio, in cui si utilizza un algoritmo molto semplice, conferma l’importanza della farmacogenetica applicata alla terapia con warfarin in una popolazione dell’Italia meridionale. L’uso dell’algoritmo farmacogenetico potrebbe migliorare notevolmente la gestione di un farmaco poco maneggevole come il warfarin consentendo di individuare il dosaggio più idoneo soprattutto nelle fasi iniziali della terapia evitando, in questo modo, temibili reazioni avverse.


A cura della Dott.ssa Valeria Conti

Fonte: Mazzaccara C et al. PLoS One 2013, 8(8): e71505

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - SIF Farmacogenetica n. 56 http://edicola.sifweb.org/edicola/farmacogenetica/numero/56/articolo/2731


Commento di Luca Puccetti

Lo studio ha il merito di forire indicazioni su popolazione italiana, tuttavia più che la dose target iniziale prevedibile sono importanti le variazioni. Data la possibilità di embricare con eparina nella maggior parte dei casi, non c'è necessità di instaurare velocemente una terapia anticoagulante che vada rapidamente a regime, per cui è possibile procedere con maggiore prudenza, aumentando lentamente la dose da somministrare in rapporto alla reale risposta individuale. In questa ottica la conoscenza del substrato genetico diventa meno importante.
Molto più completo è lo strumento warfaringdosing http://www.warfarindosing.org/Source/Home.aspx che prende in considerazione, oltre ad alcuni parametri genetici, anche dati sulle possibili interazioni farmacologiche, molto più utili nella gestione concreta della TAO, per poter prevedere le variazioni che possono verificarsi nelle terapie croniche quando si variano alcuni farmaci interferenti come azoli, amiodarone, statine .

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