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Scompenso cardiaco e diabete
Inserito il 07 luglio 2019 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

L'American Heart Associaton e la Heart Failure Society of America hanno pubblicato un documento per riassumere i vari trattamenti per il paziente con scompenso cardiaco e diabete tipo 2.



Nella comune pratica clinica si vedono con una certa frequenza pazienti affetti da scompenso cardiaco e varie comorbilità, tra cui il diabete tipo 2.

L'American Heart Association e la Heart Failure Society of America hanno recentemente pubblicato un documento [1] per sintetizzare le maggiori novità circa il trattamento di queste due condizioni patologiche associate.

Di seguito ne faremo un breve riassunto.

Il documento sottolinea anzitutto che il diabete è un importante fattore di rischio per lo scompenso cardiaco, d'altra parte anche la presenza di scompenso cardiaco aumenta il rischio di sviluppare il diabete. Infatti si calcola che negli USA soffrano di queste due patologie associate da 1,5 a 2 milioni di persone.

Per quanto riguarda il controllo glicemico non ci sono dati specifici per le due condizioni associate, comunque gli autori suggeriscono un target di emoglobina glicata compreso tra 7% e 8%.
Nello stabilire il target di controllo glicemico bisogna, tuttavia, tenere in opportuna considerazione i possibili pericoli di una terapia ipoglicemizzante troppo intensiva, le altre comorbilità presenti e l'aspettativa di vita. Infatti occorrono almeno 10 anni perchè si possano vedere i benefici di un controllo glicemico ottimale (riduzione delle complicanze microvascolari e forse dell'infarto non fatale).

Detto questo le due società americane passano in rassegna i vari farmaci ipoglicemizzanti.

La metformina rimane il farmaco ipoglicemizzante di prima scelta a meno di controindicazioni o intolleranze.

Sulle sulfaniluree ci sono pochi dati a disposizione; comunque il trial CAROLINA (che confrontava la glimepiride con il linagliptin), presentato il 10 giugno 2019 a San Francisco al meeting annuale dell'American Diabetes Association, suggerisce che la glimepiride ha una sicurezza cardiovascolare paragonabile al linagliptin. Tra i due farmaci, dopo un follow up di più di 6 anni, non c'erano differenze per gli eventi cardiovascolari, anche se vi era un maggior rischio di ipoglicemia con la sulfanilurea.

La sicurezza cardiovascolare dell'insulina è stata messa in dubbio da vari studi osservazionali e da analisi per sottogruppi di RCT, tuttavia lo studio randomizzato (ORIGIN) che confrontava insulina glargina e terapia usuale non ha evidenziato differenze negli esiti cardiovascolari tra i due trattamenti [2].

I glitazoni non sono consigliati nei pazienti con diabete e scompenso cardiaco.

Gli antagonisti del recettore del GLP-1 sembrano avere un effetto neutro, dovrebbero essere usati con una certa cautela in pazienti con scompenso cardiaco con recente aggravamento considerando un trend di peggioramento degli esiti in due piccoli RCT.

Per gli inibitori della DPP-4 gli autori concludono che l'uso in pazienti con scompenso cardiaco e diabete non è consigliato.

Gli inibitori del SGLT-2, secondo gli autori, sono una buona scelta nei pazienti con scompenso cardiaco e diabete perchè vari trials hanno dimostrato una riduzione delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco. Tuttavia il loro uso deve considerare anche potenziali rischi (fratture, amputazioni degli arti inferiori).

Gli autori del documento passano, poi, in rassegna i farmaci cardiologici: gli aceinibitori hanno dimostrato di ridurre mortalità e morbilità nei pazienti con scompenso caridiaco con/senza diabete. Risultati simili sono stati ottenuti dagli inibitori dell'angiotensina detti comunemente sartani e dagli antialdosteronici.
Lo stesso può dirsi per i betabloccanti; la FDA ha approvato per l'uso nello scompenso cardiaco il carvedilolo, il bisoprololo e il metoprololo.
Una riduzione dei decessi cardiovascolari o delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, sia nei diabetici che nei non diabetici, è stata osservata nello studio SHIFT in cui veniva usata l'ivabradina [3].

Infine il documento ricorda che benefici consistenti sono stati evidenziati dagli studi in cui venivano usati sia gli ICD (implantable cardioverter-defibrillators) che gli CRT (cardiac resyncronization therapy).



Renato Rossi


Bibliografia


1. Dunlay MS et al. Type 2 diabetes Mellitus and Heart Failure: A Scientific Statement from the American Heart Association and the Heart Failure Society of America. Pubblicato online il 6 giugno 2019

2. The ORIGIN Trial Investigators. Basal Insulin and Cardiovascular and Others Outcomes in Dysglicemia. N Engl J Med 2012 Jul 26; 367:319-328.

3. Swedberg K et al. Ivabradine and outcomes in chronic heart failure (SHIFT): a randomised placebo-controlled study. Lancet 2010 Sept 11; 376:875-885.


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