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GLI STRUMENTI DELLA GIUSTIZIA - parte prima
Inserito il 20 novembre 2022 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Capitolo I – L’ Angelo di Collerotto
E' la storia della Giustizia Divina e del piccolo, amatissimo Renatino.
*********************


All’ interno si stava freschi, i muri di tufo della casetta tenevano fuori i raggi ardenti del sole estivo. Sarebbe stato l’ ideale se non ci fosse stato quell’ odore misto di disinfettante, di urina, di chiuso come quello che si sente spesso in ospedale. E in effetti chi entrava capiva subito, col cuore stretto, che era un luogo di sofferenza e malattia.
Per questo Bruno ed io entravamo esitanti, in punta di piedi, timorosi di disturbare.

“Sachè! – fece invece una gioiosa voce infantile – E c’è pure lo Zozzo! Me l’ avevate promesso! E l’ avete portata la torta ai pinoli?”.
Fu una delle rare volte in cui Bruno non si incupì sentendosi chiamare col soprannome più antipatico, anzi fece un mezzo sorriso che, chi lo conosceva, avrebbe trovato affettuoso.

La vocina veniva dalla camera in fondo al corridoio, quella da cui emanava più forte l’ odore di ospedale, e fu lì che ci dirigemmo.

In un angolo, accasciata in una vecchia poltrona c’era la Mariella, con un fazzoletto in mano e gli occhi rossi; Casimiri invece, con lo stetoscopio in mano, ingombrava con la sua mole l’ angolo verso la finestra, chiusa.

“ Ciao, Renatì – fu Bruno a rompere per primo il silenzio che si era creato – Certo che ti ho portato la torta ai pignoli - (disse “pignoli”, alla romana, ma nessuno, nemmeno io, ebbe il coraggio di correggerlo e di prenderlo in giro) – L’ ha preparata Salvatore il Siciliano, e mia moglie ci ha pure aggiunto un po’ di ciliegine dolci, che ti piacciono tanto”.

Dal letto in fondo alla stanza venne uno strilletto di gioia, e una faccina smunta si sollevò dai cuscini verso di noi.

“ E tu, Sachè che mi hai portato? Che c’ è in quel pacchetto???”.
“ Indovina, Renatì, che m’ avevi chiesto, l’ altra volta?” Lo guardavo con aria furba e di intesa.
“ Nooo!!! Le figurine dei calciatori? Quelle che mi mancavano??? Sachè, sei grande, quasi mejo di mio padre! Peccato che sta fuori a fà la guera, ma pè fortuna c’hai pensato tu!”.

Gli porsi in silenzio, imbarazzato, il minuscolo pacchetto che mi era costato un sacco di giri per tutta la borgata e un sacco di favori verso questo e quello.

Mi rivolsi verso la Mariella, che aveva affondato la faccia nel fazzoletto e non alzò lo sguardo.
Mi voltai verso Casimiri, che in silenzio scosse leggermente la testa. Quell’ allusione al padre di Renatino aveva fatto calare una coltre di imbarazzato silenzio. Anche Mariella, alzato finalmente lo sguardo, scosse la testa con aria disperata. Renatino però non si accorse di niente, intento a scartare il pacchetto mentre cercava di metter in bocca (con le mani, ma nessuno ebbe niente da ridire) un pezzetto di torta ai pinoli.

Lo guardai in silenzio: smagrito, col cranio lucido completamente calvo, con due grandi occhi che emergevano da un volto ridotto ormai quasi ad un teschio ma con un’ espressione di gioia infantile che emanava e sembrava riempire tutta la stanza.

Renatino, 6-7 anni, non lo sapevo con certezza, era uno dei bambini più amati di Collerotto. Amato da tutti, adulti e coetanei, non so perché. Forse perché era sempre allegro, affettuoso, disponibile. La sua risata piena di allegria si sentiva dappertutto. Perciò, quando si era ammalato, tutta la borgata si era stretta intorno alla famiglia.
I compagni di scuola lo passavano a trovare portandogli i compiti, magari già fatti; i vicini di casa aiutavano Mariella nelle faccende di casa, Farfarello li passava a prendere a casa con la macchina per accompagnarli all’ Ospedale per i controlli e Don Bartolo aveva sempre una preghiera speciale per lui.

Purtroppo, come ci spiegò Casimiri, le cose non erano andate affatto bene. Si trattava, ci spiegò, di una malattia del sangue, una specie di leucemia, che però si era manifestata nella forma più cattiva e virulenta che si potesse immaginare.
Anche la chemioterapia, fatta a dosi massicce e che era la colpevole di quella totale calvizie, non era riuscita ad altro che a rallentare un po’ il decorso, senza però fermarlo. E, a quel che dicevano i medici, il percorso stava arrivando alla fine.

Uscimmo dalla stanza, seguiti da Mariella.
“ E Tommaso? - chiese Bruno – si è fatto vivo, quello stronzo?” La domanda, fatta con il solito tatto dello Zozzo, fece calare una cappa di gelo. Anche se Mariella non rispose, bastò guardarla in faccia per capire che il padre di Renatino non si era fatto sentire. E lo scoppio di pianto che ne seguì non fece che dare una conferma.

Era una lunga storia ma poteva essere brevemente riassunta: Tommaso, detto “Il Professore”, in possesso (diceva lui) di una laurea ottenuta non si sa come, aveva sposato la Mariella dopo una breve storia d’amore, ostacolata in ogni modo dai genitori di lei e conclusa alla fine con una fuga romantica.
La fuga fu romantica, il dopo un po’ meno.

Mariella, come succede, rimase incinta e ad ai suoi genitori non rimase altro che acconsentire alle “nozze riparatrici”. Vennero celebrate con discrezione da un Don Bartolo dall’ aria lievemente schifata che si accentuava ogni volta che si rivolgeva allo sposo. Mariella stava zitta, intimidita ma felice, finalmente appagata del suo amore.

I guai cominciarono quando il maresciallo Parrocchi colse Tommaso con qualche bustina di polvere bianca vicino alla scuola. La quantità era modesta, Tommaso invocò l’ uso personale, la scuola non era proprio vicinissima, per cui se la cavò con poco.
Tornò a casa incattivito dall’ esperienza, e cominciò a picchiare la moglie.
I vicini di casa sentivano le grida e notavano che Mariella usciva di casa con le maniche lunghe, anche col caldo.
Qualcuno sussurrò la cosa all’ orecchio del Maresciallo Parrocchi, ma Mariella negò tutto e anzi difese Tommaso con tutte le sue forze, e il maresciallo dovette lasciar perdere.

Quando il bambino cominciò a crescere Tommaso prese a portarlo con sé a spasso per la borgata. Un padre ravveduto, pensarono gli ingenui, ma qualche lingua lunga mi sussurrò nell’ orecchio che in realtà lo portava in giro come una sorta di bancomat al riparo di controlli troppo minuziosi, con qualche bustina di povere addosso all’ andata e un po’ di soldi al ritorno.
Sempre poca roba, piccolo cabotaggio, tanto per non dare davvero troppo fastidio a quelli che contano. Ma il bambino faceva tenerezza: aveva fatto amicizia con tutti: mentre il padre faceva i suoi affari il bambino giocava con gli altri, i negozianti giocavano con lui, facevano a gara a regalargli caramelle o gingillini.
Tutti lo amavano.

Una mia lontana parente diceva sempre che le disgrazie non vengono mai sole: a un certo punto il piccolo Renato si ammalò di una febbre e di un pallore che non volevano passare e che preoccuparono molto il vecchio Casimiri.
Non ci volle molto per una diagnosi precisa: si trattava di leucemia, una delle forme più aggressive, una leucemia “cattiva” contro la quale le terapie davano poche speranze.

E infatti le cose non andarono molto bene: trapianto di midollo, chemioterapia aggressiva, a cicli ripetuti, ma poi deperimento, caduta dei capelli con quella testolina liscia diventata ormai conosciuta da tutti, recentemente poi la chemioterapia sembrava sempre meno efficace e il bambino fisicamente sempre più debole anche se sempre meravigliosamente allegro e sereno. Ma non bastò…

Lo annunciò, non a parole ma con i fatti, quel padre ideale che era Teodoro: una mattina fece razzia in casa dei pochi soldi messi da parte, dei gingilletti d’oro accumulati negli anni, perfino della fede nuziale di Mariella, posata sul lavandino, e se ne andò senza una parola.
Cambiò borgata, ché altrimenti non l’ avrebbe passata liscia, e cambiò pure città, ché se no alla fine l’ avrebbero trovato lo stesso. Aveva ogni tanto vagheggiato di progetti fantastici, che lo avrebbero reso ricco e famoso, con grandi proprietà, automobili di lusso e donne bellissime ai suoi piedi. Questi progetti erano quasi sempre localizzati in nazioni lontane, su spiagge assolate ombreggiate da palme.

E sparì lasciando l’ “amore della sua vita” senza un soldo, con un bambino gravemente malato, senza nemmeno una casa o un lavoro.

Mariella, come è logico, pianse e si disperò. Chiese aiuto al Maresciallo Parrocchi, che però non riuscì a portare a una soluzione; nemmeno Colantonio, il suo migliore informatore, riuscì a scoprire dove fosse finito Teodoro. Così andò avanti elemosinando credito tra i negozianti della zona, poi si mise a cercare un lavoro stabile che però, con un bambino malato che chiedeva continuamente le sue cure, non riusciva ad ottenere.

Riuscì ad evitare di prostituirsi con le Canarine, ma poté sopravvivere solo con i lavoretti saltuari che gli offriva il Guercione finché intervenne Don Bartolo, che tutte le domeniche le destinava le elemosine raccolte in chiesa e, con metodi abbastanza decisi, faceva periodicamente il giro dei commercianti, insieme a Bruno, per una questua mirata al sostegno di Mariella e del piccolo Renato. Qualcosa che ad altri occhi poteva quasi sembrare un pizzo, ma che non destò mai proteste da nessuno.
Solo che, un po’ alla volta, Renatino peggiorava, lentamente lentamente, ma progressivamente, e ormai eravamo agli sgoccioli.

E, finalmente, giocando sorridente con le figurine del Sachem, se ne andò.

(continua alla parte 2, con i capitoli conclusivi "Le Campane di Collerotto" e "I Mulini del Signore")


“Ritorno al Bar dello Zozzo” – Daniele Zamperini – 2020
Matite di Roberta Floreani


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