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La diagnosi
Inserito il 19 febbraio 2023 da admin. - scienze_varie - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Ci siamo mai chiesti cosa s’intende per diagnosi?



Il termine deriva dal greco ed è composto dal prefisso dia (= per mezzo di, grazie a) e gnosis (= conoscenza). In altre parole significa arrivare alla conoscenza attraverso un “qualcosa”.
Quello che vogliamo conoscere è naturalmente la malattia e, se possibile, le cause che l’hanno provocata. Diciamo meglio: più che la malattia vogliamo conoscere il malato, soprattutto nel senso di comprendere quali saranno le conseguenze che la patologia avrà su di lui.
Con quali mezzi questa conoscenza si possa ottenere risulta più difficile da stabilire, anche se in un certo senso possiamo semplicemente affermare che l’arma che ci consente di arrivarci è il “metodo clinico”.
Ma quando proponiamo una diagnosi quanto possiamo fidarci? Quanto siamo certi della sua fondatezza?
In alcuni casi possiamo essere sicuri della nostra affermazione. Per esempio in un paziente in cui venga riscontrata in più occasioni una glicemia a di¬giuno di 160-180 mg/dl e un’emoglobina glicata di 7%-7,3% possiamo tranquillamente diagnosticare il diabete senza tema di essere smentiti. Se vediamo un paziente con una classica artrite bilaterale localizzata alle piccole articola¬zioni delle mani, indici di flogosi elevati, positività per Fattore Reumatoide e anticorpi anti-peptide citrullinato possiamo confidare che si tratta di un’artrite reumatoide.
Supponiamo invece di trovare un paziente che riferisce da qualche mese di soffrire di artralgie alle piccole articolazioni delle mani, astenia e malessere generale. Per il resto l’esame obiettivo è negativo e i dati di laboratorio mostrano solo un moderato aumento della VES mentre il Fattore Reumatoide e gli anticorpi anti-peptide citrullinato risultano negativi.
In questo caso potremmo sospettare un’artrite reumatoide in fase inziale oppure una qualche altra patologia reumatica o autoimmune se non anche una forma paraneoplastica. La diagnosi sarà per forza di cose provvisoria e solo
l’osservazione del decorso futuro potrà forse chiarire meglio quale tra queste possibili ipotesi è quella corretta.
Ipotizziamo infine un altro caso: un paziente accusa da 2 giorni febbre (38,5°), lieve faringodinia, malessere generale e mialgie diffuse. L’esame obiettivo è del tutto negativo a parte un arrossamento dell’orofaringe. La diagnosi più probabile, in questo caso, è di virosi delle prime vie respiratorie. Però abbiamo visitato il paziente in una fase precoce, possiamo es¬sere certi delle nostre conclusioni? Anche se molto più improbabile il quadro potrebbe evolvere verso una meningite oppure potrebbe esserci una sottostante leucemia o una setticemia.
Questo è un esempio tipico di come spesso il medico, nel porre una diagnosi, si basi, più che su sicurezze, su un criterio del tutto probabilistico oppure privilegiando l’ipotesi più semplice (che spesso e per fortuna, nostra e del paziente, è anche quella corretta).


Renato Rossi


Per approfondire:

Rossi RL. Metodologia clinica. Le basi logiche del ragionamento diagnostico e terapeutico. Una guida pratica.
http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/medicina-e-salute/644007/metodologia-clinica/

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