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Danno da superlavoro per il medico dipendente
Inserito il 31 maggio 2023 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Il lavoratore deve provare il danno ed il nesso causale con il servizio prestato, poi spetta al datore di lavoro l'onere di dimostrare di aver fatto il possibile per evitarlo
(Cass. 6008/2023)

I fatti:
Un dirigente medico di primo livello, dipendente di una ASL, ha citato in giudizio l'Azienda chiedendo il risarcimento del danno biologico conseguente all'infarto del miocardio subito (a suo dire) a causa degli intollerabili ritmi e turni di lavoro a cui era stato costretto a causa del sottodimensionamento dell'organico.

Le Corti di merito respingevano la domanda escludendo la responsabilità dell'ASL tenuto conto che essa non aveva il potere di aumentare l'organico nè di rifiutare ricoveri e prestazioni ai pazienti senza l'autorizzazione della Regione, e che lo stesso sanitario, nella sua qualita’ di dirigente medico, era in grado di adottare provvedimenti organizzativi idonei.

Il medico ricorreva in Cassazione contestando tali conclusioni e sottolineando che il nesso causale che l'attore deve provare e’ unicamente quello tra prestazioni di lavoro rese in condizioni nocive ed evento, mentre spetta al convenuto provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno e, quindi, l'impossibilità di evitarlo.

La Cassazione accoglie il ricorso del medico
Si confermava il principio di base:
"incombe sul lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonchè il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro - una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze - l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo".

Tuttavia, prosegue la Corte, a tali corrette premesse il giudice di merito non aveva dato erroneamnte seguito affermando che
"l'appellante non ha fornito sufficiente prova, il cui onere era su di lui ricadente, della sussistenza di specifiche omissioni datoriali nella predisposizione di quelle misure di sicurezza, suggerite dalla particolarità del lavoro, dall'esperienza e dalla tecnica, necessarie ad evitare il danno, che siano in concreto esigibili con riferimento agli standard di sicurezza suggeriti dalle conoscenze del tempo, e di normale adozione nel settore".
Il medico, invece, aveva riportato (non contestato sul punto) di essere stato sottoposto per molti anni a un superlavoro, ovverosia a turni ed orari particolarmente intensi e prolungati, ben al di sopra della normalità.

La Cassazione confermava invece che spettava alla ASL “ dimostrare che i carichi di lavoro erano normali, congrui e tollerabili o che ricorreva una diversa causa che rendeva l'accaduto a sè non imputabile".


Andava quindi approfondita la tesi difensiva della ASL, di avere fatto "tutto il possibile per evitare il danno", valutando anche i limiti operativi dell'ASL nella decisione di assumere altro personale medico.

Inoltre si specificava ancora come fosse errata l'affermazione della Corte d’Appello secondo cui “il ricorrente avrebbe avuto l'onere di allegare 'quali concreti svantaggi, privazioni ed ostacoli sono derivati dalla menomazione denunciata'” in quanto “e’ infatti sufficiente l'allegazione dell'evento dannoso (infarto) e del conseguente danno alla salute, temporaneo e permanente, mentre l'allegazione di altri 'concreti svantaggi' è necessaria soltanto ai fini della eventuale richiesta di personalizzazione del danno"

La ASL era quindi condannata al risarcimento del danno subito dal medico.

Daniele Zamperini

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