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Va riconosciuto il danno morale anche alla moglie separata della vittima di un sinistro

Categoria : medicina_legale
Data : 30 gennaio 2003
Autore : admin

Intestazione :

Sentenza Cassazione III civ. n. 10393 del 17 luglio 2002



Testo :

N. G. vedova B., in proprio e nel nome dei figlio, chiedeva in giudizio innanzi al tribunale di Prato il risarcimento dei danni per un sinistro nel quale era morto B.C., rispettivo marito (da cui era separata) e padre.
In seguito ad un complesso iter processuale, si adiva alla Corte di Cassazione perche' valutasse la legittimita' della richiesta di danno morale avanzato dalla N.G. la quale sosteneva che tale risarcimento sarebbe stato a lei spettante, tenuto conto dell'estremo disagio materiale e morale in cui ella versava in seguito alla morte del marito. Lo stato di separazione non valeva infatti ad escludere che la N. avesse provato sofferenza morale e patema d'animo, onde non le si poteva negare il "pretium doloris".
La Corte approvo' questa tesi, ricordando che il danno morale, tradizionalmente definito come "pretium doloris", viene generalmente ravvisato nell' "ingiusto turbamento dello stato d'animo del danneggiato in conseguenza dell'illecito", o anche nel "patema d'animo o stato d'angoscia transeunte" generato dall'illecito; il Tribunale aveva negato il risarcimento a questo titolo alla N. col semplice rilievo "che non può rientrare in tali concetti l'aggravio di responsabilità che deriva alla madre per la crescita e l'educazione del figlio a seguito della morte del padre; aggravio che, nella normalità, deve ritenersi non si concreti in un danno risarcibile".
Questo ragionamento, afferma la Corte, per le sue evidenti lacune logiche e giuridiche, non può essere condiviso.
Occorre sottolineare che lo stato di separazione personale non è incompatibile, di per sé solo, col risarcimento del danno morale a favore di un coniuge per la morte dell'altro coniuge, dovendo aversi riguardo alla sua almeno tendenziale temporaneità e alla possibilità, giammai esclusa "a priori", di una riconciliazione che ristabilisca la comunione materiale e spirituale tra i coniugi, nonche' alle ragioni che l'hanno determinato e a ogni altra utile circostanza idonea a manifestare se e in qual misura l'evento luttuoso, dovuto all'altrui fatto illecito, abbia provocato, nel coniuge superstite, quel dolore e quelle sofferenze morali che solitamente si accompagnano alla morte di una persona più o meno cara.
La Corte, non condividendo quindi la motivazione adottata dal Tribunale (che aveva identificato il danno morale solo col peso, venuto a gravare unicamente sulla madre, della responsabilità del mantenimento, dell'educazione e dell'istruzione del figlio), sottolinea che questi non poteva fermare qui la sua indagine, ma avrebbe dovuto accertare altresì se quell'importo potesse essere accordato, secondo la sua naturale finalità, quale "pecunia doloris", ossia a ristoro e compensazione di un ingiusto turbamento dello stato d'animo patito per la morte del marito.
La Cassazione cassava quindi, con rinvio, la sentenza impugnata.



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