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Uso di inibitori di pompa protonica e rischio di fratture osteoporotiche
Inserito il 02 giugno 2009 da admin. - reumatologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

E' stata evidenziata una correlazione tra un utilizzo cronico di PPI per un periodo >=7 anni e la comparsa di fratture osteoporotiche; la frattura dell’anca è correlata ad un utilizzo >=5 anni.

L’osteoporosi è una patologia molto diffusa che colpisce il 16% delle donne ed il 7% degli uomini >=50 anni di età. Sono stati identificati numerosi fattori di rischio predisponenti alle fratture osteoporotiche tra i quali l’etnia, un basso indice di massa corporea, la mancanza di esercizio fisico ed il sesso femminile. Esistono numerose classi farmacologiche il cui utilizzo è stato direttamente correlato a questa patologia, per quanto sia cosa nota che qualsiasi condizione o farmaco in grado di aumentare il rischio di caduta possa incrementare anche il rischio di fratture osteoporotiche.
Una tra le classi farmacologiche in grado di alterare il metabolismo osseo è rappresentata dagli inibitori di pompa protonica (PPI). Studi recenti hanno suggerito che un utilizzo di inibitori di pompa protonica per uno o più anni possa determinare un’aumentata predisposizione alle fratture osteoporotiche, mancano però i dati relativi al rischio addizionale per periodi di tempo >4 anni.

Questo studio retrospettivo è stato condotto su una coorte di pazienti utilizzando i dati raccolti nel Population Health Research Data Repository, che contiene informazioni sulla salute della maggior parte dei residenti in Canada e Manitoba.
Sono stati selezionati un totale di 15.792 casi di fratture da osteoporosi correlati a 47.289 controlli. Sono stati definiti casi i pazienti di età >=50 anni visitati da un medico o ricoverati in ospedale con diagnosi di frattura vertebrale, del polso o dell’anca tra l’Aprile 1996 ed il Marzo 2004. Sono stati esclusi i pazienti in terapia con principi attivi osteoprotettivi nell’anno precedente la frattura. Ogni caso è stato correlato a tre controlli, paragonabili per età, sesso, etnia e comorbidità e senza storia di fratture vertebrali, al polso o all’anca. Un paziente è stato considerato esposto ai PPI se il rapporto tra la dose standard dispensata ed il numero di giorni intercorsi tra una dispensazione e l’altra eccedeva di 0.70 la dose standard quotidiana.
Dal momento che la correlazione tra utilizzo di PPI e fratture osteoporotiche sembra essere più forte in caso di esposizione continua al farmaco, i casi ed i controlli sono stati raggruppati sulla base della durata totale dell’esposizione ai PPI.
I pazienti sono stati classificati come segue:
1. esposizione continua (frattura comparsa dopo un periodo di tempo >70% del tempo totale di esposizione ai PPI);
2. esposizione non continua (frattura comparsa dopo un periodo di tempo <70% del tempo totale di esposizione ai PPI);
3. esposizione ad antistaminici anti H2 (senza esposizione a PPI);
4. non esposizione a gastroprotettori.

Outcome primario dello studio è stato valutare se la comparsa di una frattura osteoporotica potesse essere correlata alla durata dell’esposizione continua a PPI. È stata valutata la forza dell’associazione tra l’esposizione continua a PPI e la comparsa di fratture combinate anca-colonna vertebrale piuttosto che frattura di anca isolata.

Dall’analisi statistica dei dati raccolti non è risultata un’associazione significativa tra comparsa di fratture osteoporotiche ed utilizzo continuativo di PPI per un periodo compreso tra 1 e 6 anni. Per un’esposizione continua >=7 anni, invece, l’associazione diventava statisticamente significativa (adjusted OR 1.92, 95% CI 1.16-3.18, p=0.011). È stato inoltre rilevato un aumentato rischio di frattura dell’anca dopo 5 o più anni di esposizione (adjusted OR 1.62, 95% CI 1.02-2.58, p=0.04), con un rischio ancora superiore dopo i 7 anni di esposizione (adjusted OR 4.55, 95% CI 1.68-12.29, p=0.002).

Il meccanismo attraverso il quale i PPI aumentano il rischio di frattura non è ancora del tutto chiarito, anche se pare che verosimilmente sia correlato al fatto che l’inibizione della secrezione acida gastrica possa accelerare la percentuale di perdita ossea, attraverso la riduzione dell’assorbimento intestinale di calcio (il calcio carbonato, maggior fonte di calcio assunta con la dieta, è insolubile ad elevati valori di pH). Inoltre, sembra che i PPI siano in grado di inibire anche la pompa H+/ATPasi presente sulla membrana cellulare degli osteoclasti. Di conseguenza serviranno altri studi per chiarire definitivamente come l’utilizzo cronico di queste sostanze possa alterare il metabolismo osseo.

L’associazione tra fratture ed assunzione cronica di PPI è un problema molto attuale dal momento che si stanno diffondendo sempre di più le formulazioni equivalenti o da banco, più accessibili ai pazienti, e la crescente riluttanza a somministrare inibitori selettivi della COX-2 come strategia gastroprotettiva in pazienti che necessitano una terapia cronica con FANS. Questi fattori predispongono all’utilizzo cronico di PPI con conseguente aumento del rischio di fratture osteoporotiche. Resta comunque una quota di pazienti per i quali una terapia gastroprotettiva a lungo termine si rende necessaria e per questi sono necessari altri studi che possano determinare se la cosomministrazione di calcio, bifosfonati o analoghi degli estrogeni possa ridurre il rischio di fratture.

Questo studio ha comunque dei limiti tra i quali la mancanza di dati antropomorfici e di informazioni circa l’utilizzo concomitante di calcio, vitamina D, fumo di sigaretta o abuso alcolico che possono essere fattori confondenti. Inoltre, non è stato possibile stabilire se i PPI aumentino il rischio di fratture perché alterano il metabolismo osseo o perché- ipotesi comunque poco probabile - aumentano il rischio di cadute. Infine, come per ogni studio osservazionale, potrebbero esserci dei fattori confondenti tra casi e controlli in grado di alterare i risultati dello studio stesso.


Gli Autori concludono che è stata evidenziata una correlazione tra un utilizzo cronico di PPI per un periodo >=7 anni e la comparsa di fratture osteoporotiche; la frattura dell’anca è correlata ad un utilizzo >=5 anni, mentre l’utilizzo a breve termine di questi farmaci non sembra aumentare il rischio di frattura.


Commento

Questo articolo è accompagnato da un commento in cui viene ribadito, citando un precedente studio (Yang YX et al. JAMA 2006; 296: 2947-53), l’aumentato rischio di fratture osteoporotiche in pazienti in terapia cronica con PPI e, di conseguenza, la necessità di un utilizzo ponderato di questi farmaci, in particolare per lunghi periodi. Gli Autori sottolineano, inoltre, la necessità di studi prospettici o di trial randomizzati e controllati ad ulteriore sostegno di questa correlazione.
Conflitto di interesse: alcuni autori hanno ricevuto dei finanziamenti da diverse ditte farmaceutiche.

Dottoressa Daniela Carli

Riferimenti bibliografici

Targownik LE et al. Use of proton pump inhibitors and risk of osteoporosis-related fractures. CMAJ 2008;179: 319-26.

Richards JB, Goltzman D. Proton pump inhibitors: balancing the benefits and potential fracture risks. CMAJ 2008; 179: 306-7.


Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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