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Effetti proaritmici dei farmaci non cardiovascolari |
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Inserito il 21 marzo 2010 da admin. - cardiovascolare - segnala a:
La maggior parte dei farmaci non sono usati per trattare malattie cardiache. Tuttavia, tali farmaci non-cardiovascolari possono avere spesso effetti cardiovascolari.
In questa revisione, vengono trattate alcune manifestazioni cardiovascolari di farmaci usati per indicazioni non-cardiovascolari. Vengono anche trattati gli effetti cardiovascolari che derivano da farmaci non-cardiovascolari per interazioni farmacologiche che possono portare ad un decremento o ad un incremento delle concentrazioni dei farmaci cardiovascolari.
La revisione è divisa in 11 “capitoli” trattati in 5 diverse “pillole”, di cui la presente costituisce la prima. I capitoli che saranno trattati sono i seguenti:
1. Aritmie: Fibrillazione atriale, Prolungamento del QT, Torsione di Punta, Tachicardia Ventricolare e Morte Cardiaca Improvvisa, Bradicardia e Tachicardia 2. Ipotensione 3. Ipertensione 4. Malattia Valvolare Cardiaca 5. Ipertensione Polmonare 6. Cardiomiopatia e Scompenso Cardiaco 7. Sindrome Metabolica e Accelerata Arteriosclerosi Farmaci Antipsicotici 8. HIV e Accelerata Arteriosclerosi 9. Infarto Miocardico Inibitori della Ciclossigenasi-2 (COX-2) Rosiglitazone Terapia Ormonale Sostitutiva 10. Malattia Cardiaca Congenita 11. Interazioni Farmacologiche: Farmaci Non-Cardiovascolari possono influire su Farmaci Cardiovascolari:Aspirina e Ibuprofene CYP3A4 e CYP3A5 CYP2D6 CYP2C9 CYP2C19 Glicoproteina P Colestiramina Erbe Medicinali
Aritmie
Fibrillazione Atriale
La maggior parte dei report di fibrillazione atriale (FA) indotta da farmaci non-cardiovascolari sono case reports, e poiché la FA è così comune, è difficile determinare se l’associazione sia casuale od incidentale. La possibilità di riprodurre FA con il re-challenge (la ri-somministrazione) del farmaco supporta la causalità, come fa una razionalità meccanica. La tavola 1 elenca farmaci con un’associazione ben definita con la FA. Dopo numerosi case reports d inizio di FA dopo somministrazione intermittente di metilprednisolone, van der Hooft e coll. hanno condotto uno studio caso-controllo nello studio Rotterdam che ha coinvolto almeno 8000 adulti. (1). Hanno trovato che l’uso di alte dosi di corticosteroidi (≥7.5 mg di equivalenti del prednisone) era associato con un significativo incremento del rischio di FA di recente insorgenza (odds ratio [OR] = 6.1, 95% intervallo di confidenza [CI] 3.9–9.4), ma che l’uso di basse dosi di corticosteroidi non era associato con FA (OR=1.4, 95% CI 0.7–2.8). Questo aumento del rischio di FA è stato osservato con tutte le indicazioni per somministrazione di alte dosi di corticosteroidi. E’ stato ipotizzato che alte dosi di corticosteroidi possano mediare l’uscita di potassio dalle cellule, e che questo può a sua volta predisporre all’aritmia (2). Sussiste la preoccupazione che i bifosfonati incrementino il rischio di FA severa (la FA porta ad ospedalizzazione, disabilità, o addirittura è minacciosa per la vita). Lo studio HORIZON su 7000 pazienti sottoposti ad infusione annuale di acido zoledronico o a placebo in un periodo di tre anni ha mostrato una significativa riduzione delle fratture vertebrali (end point primario, ma anche un significativo aumento di FA severa con l’acido zoledronico (50 pazienti [1.3%]) paragonati con placebo (20 pazienti [0.5%]; P<0.001). In maniera simile, nel Fracture Intervention Trial study (4), un trial randomizzato controllato con 6459 pazienti di alendronato vs placebo, la FA è stata riscontrata in 47 (1.5%) pazienti che avevano ricevuto alendronato a paragone con 31 (1.0%) pazienti che avevano ricevuto placebo (hazard ratio = 1.5, 95% CI 0.97–2.4; p=0.07). Comunque, il più recente HORIZON Recurrent Fracture Trial (5) (n=2000), non ha trovato differenze significative nell’incidenza di FA severa derivante dalla terapia con bifosfonati. Pertanto, la preponderanza dell’evidenza suggerisce un piccolo incremento del rischio di FA severa derivante dalla terapia con bifosfonati. I possibili meccanismi per la FA indotta da bifosfonati comprendono un aumento delle citochine infiammatorie o le alterazioni del trasporto del calcio (4). La maggior parte degli altri report di FA indotta-da-farmaco sono casi sporadici. E’ stato trovato che il donepezil, un inibitore della acetilcolinesterasi usato per la demenza, era associato a FA (6). Ciò potrebbe essere dovuto ad alterazioni nella bilancia simpatico-vagale. L’aminofillina e.v. è stata associata a FA in un piccolo numero di case-reports, di cui uno nel quale il re-challenge con il farmaco era esitato in FA. Vi sono stati alcuni case reports di FA con il farmaco antiemicranico sumatriptan, nei quali era stata reindotta la FA con la risomministrazione del farmaco (7). E’ stata anche riportata un’associazione tra sildenafil e FA, con un re-challenge positivo in un caso (8). Vi sono alcuni case reports, alcuni con re-challenge, di farmaci chemioterapici, quali cisplatino (9) e gemcitabina (10), associati a FA. Vi sono molti possibili meccanismi che includono la tossicità miocardica che coinvolge l’atrio, la fibrillazione atriale derivante da cardiomiopatia ventricolare, o il rilascio di citochine (11).
Prolungamento del QT, Torsione di Punta, Tachicardia Ventricolare e Morte Cardiaca Improvvisa
La terapia farmacologica è la causa più comune di sindrome acquisita del QT lungo (aLQTS). L’eccessivo prolungamento della ripolarizzazione cardiaca si riflette sull’intervallo QT (una manifestazione di superficie della durata d’azione del potenziale cardiaco), può portare allo sviluppo di prematura postdepolarizzazione che può a sua volta innescare la tachicardia ventricolare da Torsione di punta (TdP) (12). Virtualmente tutti i farmaci che causano aLQTS riducono la corrente di potassio “rettifricatrice ritardata” (IKr) e prolungano il potenziale d’azione cardiaco; 13 serie di casi supportano l’idea che varianti genetiche nei canali ionici possano aumentare il rischio. Mentre la più comune classe di farmaci implicata nella sindrome aLQTS sia rappresentata dai farmaci antiaritmici che prolungano il QT, in particolare i bloccanti IKr quali sotalolo, dofetilide, chinidina e ibutilide (12), questa forma di proaritmia si può verificare anche con farmaci non-cardiovascolari (14). Infatti, il prolungamento dell’intervallo QT è stato una delle cause più importanti di ritiro di farmaci dal mercato negli USA negli ultimi 15 anni, spingendo le compagnie farmaceutiche a screening routinari per farmaci che inducono prolungamento del QT durante la preparazione di un farmaco. La tavola 2 elenca i farmaci comunemente usati noti per essere associati a TdP (15). Un aggiornamento dell’elenco è costantemente tenuto al sito http://www.qtdrugs.org.
Usando un ampio database, Ray e coll. hanno valutato il rischio di morte cardiaca improvvisa (SCD) associato agli antidepressivi (16). Hanno trovato un aumento dose-dipendente del rischio di SCD con antidepressivi triciclici. Il tasso di rischio per SCD per dosi di ≥300 mg di amitriptilina (o equivalenti) era di 2.53 (95% CI 1.04–6.12), mentre non vi era aumento del rischio a dosi <100 mg di amitriptilina (o equivalenti). Questo disegno di studio non definisce i meccanismi sottostanti la SCD, ma gli antidepressivi triciclici hanno proprietà bloccanti i canali del calcio e bloccano anche i trasportatori della clearance della norepinefrina, esitando in un aumento del tono simpatico cardiaco (17). Nello stesso studio, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina non hanno aumentato il rischio di SCD (16). Lo stesso gruppo ha valutato il rischio di SCD con antibiotici comunemente usati (18). Usando il database della Tennessee Medicaid insurance, hanno trovato che il tasso aggiustato di SCD tra pazienti che usavano comunemente eritromicina era due volte più elevato (IRR=2.01; 95% CI, 1.08–3.75; P=0.03) rispetto a coloro che non assumevano questo farmaco. Il rischio era anche più elevato tra pazienti che prendevano farmaci che inibivano l’eliminazione della eritromicina (ad es., verapamil, diltiazem, ketoconazolo). Non vi era aumento di SCD tra utilizzatori di amoxicillina. Un possibile meccanismo è il blocco IKr e la TdP, che è ben descritto con l’uso di alte dosi di eritromicina (19–21). Anche molti vecchi (“tipici”) farmaci antipsicotici bloccano IKr in vitro, prolungano l’intervallo QT (22) e sono associati ad un aumento dose-correlato di SCD (23), possibilmente perchè causano TdP. La tioridazina, un tipico farmaco antipsicotico, ha un avvertimento della FDA dovuto all’aumentato rischio di SCD (24). Ray e coll..(25) hanno trovato che l’uso dei nuovi farmaci antipsicotici (“atipici”) è associato ad un rischio maggiore del doppio di SCD, a paragone di coloro che non lo usano (incidence-rate ratio [IRR], 2.26; 95% CI, 1.88–2.72), un rischio simile a quello dei vecchi antipsicotici tipici. Il rischio aumenta all’aumentare della dose di clozapina, olanzapina, quetiapina e risperidone (dose bassa IRR=1.59 vs. dose alta IRR 2.46; P=0.01). Stratton e coll. (26) hanno pubblicato una serie di casi di 18 pazienti che avevano sofferto di SCD durante contenzione per delirio eccitato e hanno paragonato le loro caratteristiche a quelle di 196 pazienti sopravvissuti con delirio eccitato. Farmaci stimolanti (quali cocaina ed anfetamina) sono stati identificati nel 78% dei pazienti che erano morti, a paragone con solo il 22% dei pazienti sopravvissuti. Più recentemente, la US Food & Drug Administration (FDA) ha raccomandato un avvertimento dovuto ai report di eventi cardiovascolari e a morte cardiaca improvvisa associati all’uso di farmaci stimolanti (27) quali le anfetamine.
Bradicardia e Tachicardia
E’ raro per un farmaco cardiovascolare causare importante bradicardia clinica alle dosi usuali. L’inibitore periferico della acetilcolinesterasi neostigmina può aumentare la disponibilità sinaptica dell’acetilcolina e l’incremento derivante del tono vagale può causare bradicardia (28,29). Il farmaco antipertensivo clonidina può indurre striking bradicardia. Per esempio, Gentilli e coll. hanno riportato che l’incidenza di bradicardia era del 20% in coloro che ricevevano clonidina intrarticolare, rinforzando il concetto che farmaci cardiovascolari, somministrati per vie non convenzionali (quali la clonidina intrarticolare o i betabloccanti oftalmici) possono avere manifestazioni cardiovascolari. La tachicardia può derivare da un ampio range di farmaci che sono agonisti adrenergici (per esempio agonisti dei recettori beta adrenergici), ma può anche verificarsi con altri farmaci. La duloxetina, un antidepressivo utilizzato anche per il dolore neuropatico e per l’incontinenza urinaria, inibisce sia la ricaptazione della serotonina che il trasporto presinaptico della noradrenalina. Alte dosi di duloxetina possono causare significativa tachicardia sinusale (31), anche in soggetti senza malattia cardiovascolare. La venlafaxina, un altro antidepressivo con proprietà farmacologiche simili, può anche incrementare il battito cardiaco (32).
Riferimento
Satish R Raj, C. Michael Stein, Pablo J. Saavedra, and Dan M. Roden: Effetti Cardiovascolari di Farmaci Non-Cardiovascolari. NIH Public Access Author manuscript; available in PMC 2009 November 5.
A cura di Patrizia Iaccarino
Commento di Patrizia Iaccarino
Nel loro sommario gli autori sostengono:” Farmaci che non sono primariamente usati per trattare malattie cardiovascolari hanno comunemente effetti cardiovascolari. Alcuni effetti sono comuni ed il loro meccanismo è conosciuto, altri sono rari, non provati o non ben conosciuti. Inoltre, le interazioni farmacologiche tra farmaci cardiovascolari e non-cardiovascolari possono influenzare le risposte terapeutiche. Pertanto, la consapevolezza terapeutica dei cardiologi ha bisogno di abbracciare un range di farmaci in genere non ritenuto avere conseguenze cardiovascolari..” Da queste parole si evince che si iniziano a comprendere due concetti fondamentali: il primo concetto è riconoscere sempre più l’importanza per i clinici della conoscenza, della metabolizzazione e della applicazione dei dati derivanti dalla Farmacovigilanza, sia in fase diagnostica (per la diagnosi di patologia farmaco-indotta) sia in fase terapeutica (per le eventuali possibili controindicazioni esistenti o interazioni farmacologiche) e il secondo è sottolineare che lo specialista non dovrebbe, soprattutto nel momento terapeutico, limitarsi a trattare la patologia senza valutare il paziente nella sua interezza. Il medico di medicina generale, per suo ruolo avvezzo a tale tipo di approccio al paziente, resta, a parere di chi scrive, il primo attore nella valutazione degli effetti dannosi dei farmaci, sia in fase diagnostica sia in fase terapeutica, con una particolare attenzione volta proprio al coordinamento delle terapie specialistiche e alla valutazione di loro eventuali controindicaziioni e di loro possibili interazioni. L’incremento della segnalazione degli eventi avversi potrebbe contribuire a far luce sempre più sulla incidenza (il famoso “denominatore” mal valutabile degli eventi avversi, per le mancate rilevazioni e/o segnalazioni) degli eventi avversi, sui loro meccanismi poco conosciuti e sulle interazioni che si verificano tra farmaci. Non dimentichiamo che l’allarme “talidomide” fu lanciato dalla segnalazione di un pediatra di base!
Bibliografia
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