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Sentenza shock: nascere Down e ' peggio che essere abortiti
Inserito il 07 ottobre 2012 da admin. - medicina_legale - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Finora la Cassazione riconosceva solo il diritto al risarcimento ai genitori, ritenendo che per il bimbo, nascere malformato, fosse preferibile a essere abortito, adesso l'inversione a U.

Con una sentenza shock la Cassazione ha sancito che il risarcimento per essere nato Down spetta anche al nato oltre che ai genitori cui sarebbe stato stato negato un esame diagnostico che avrebbe portato ad abortire il feto.

La vicenda

La Terza sezione civile della Corte di Cassazione, presieduta da Alfonso Amatucci, si è pronunciata sul caso di una bambina nata con la sindrome di Down, nonostante la madre avesse posto al medico curante, «come condizione imprescindibile per la prosecuzione della gravidanza», la nascita «di un bimbo sano». In caso contrario, se cioè l'amniocentesi avesse evidenziato la Trisomia 21, la donna aveva già manifestato l'intenzione di ricorrere all'aborto. Il medico anziché eseguire l'amniocentesi, avrebbe proposto e fatto eseguire alla gestante il solo Tritest, omettendo, secondo i giudici, di prescrivere accertamenti più specifici al fine di escludere alterazioni cromosomiche del feto.

Fonte: Il Giornale

http://www.ilgiornale.it/news/interni/nata-down-medico-paga-i-danni-843640.html

http://www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaCivile/SezioniUnite/SchedaNews.asp?ID=3126

Commento di Luca Puccetti

Fino ad oggi la Cassazione aveva sancito il diritto del feto a nascere sano, ma questa sentenza è dirompente e sottenderebbe valutazioni valoriali che appaiono incomprensibili ed inaccettabili.

Se la madre avesse conosciuto la condizione Down avrebbe forse abortito e dunque è logico un risarcimento per i genitori e affini, molto più arduo comprendere la ratio che motiva un risarcimento per un atto omissivo nei confronti del feto che, in alternativa, sarebbe stato abortito.
Non convincono affatto le acrobazie logiche usate per motivare la decisione. Secondo i Giudici il diritto alla procreazione cosciente e responsabile è attribuito alla sola madre per espressa volontà legislativa, sì che risulta legittimo discorrere, in caso di sua ingiusta lesione, non di un diritto esteso anche al nascituro in nome di una sua declamata soggettività giuridica, bensì di propagazione intersoggettiva degli effetti dell'illecito. In casi del genere non si discute «di non meritevolezza di una vita handicappata, ma di una vita che merita di essere vissuta meno disagevolmente (sic?), attribuendo direttamente al soggetto che di tale condizione di disagio è personalmente portatore il dovuto importo risarcitorio, senza mediazioni di terzi, quand'anche fossero i genitori, ipoteticamente liberi di utilizzare il risarcimento a loro riconosciuto ai più disparati fini».
Nonostante le vertigini logiche, la sostanza è che per la Cassazione la vita da Down è una condizione peggiore della non vita e dunque da risarcire. Come afferma il professor Vari, docente di Diritto costituzionale all'Università Europea di Roma, «questa giurisprudenza, se confermata in decisioni successive, porrebbe in essere una grave discriminazione nei confronti dei disabili, per i quali, secondo la Terza sezione civile della Cassazione, potrebbe essere preferibile l'essere abortiti che nascere con una forma di handicap». Per la bambina di Treviso, infatti, l'alternativa era tra nascere e non nascere, non aveva altre possibilità. E quindi, ribadisce Vari, è criticabile l'atteggiamento della Cassazione che ha considerato un danno, rispetto all'aborto, la condizione di disabilità della bambina fatta nascere. «Per un caso analogo in Francia si aprì un grande dibattito, che vide in campo anche le famiglie dei disabili. Fu proprio in forza della loro reazione sdegnata, della loro capacità di sensibilizzare l'opinione pubblica, che il Parlamento francese approvò, con un'ampia maggioranza trasversale, una legge che sancisce che l'evento della nascita non può mai essere considerato un pregiudizio».
Una sentenza che pone allo scrivente seri dubbi sulla possibilità di poter continuare a vivere in un paese in cui i massimi gradi di giudizio esprimono tali "valori".

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