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Neoplasia: implicazioni psicologiche personali e familiari
Inserito il 18 gennaio 2023 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La malattia oncologica è una narrazione a più voci, perché sempre, ad ammalarsi, non è soltanto il corpo, ma la persona e con essa il suo mondo di affetti, significati, relazioni (Ruggiero, 2005).

La diagnosi di cancro apre una profonda crisi esistenziale: cambia la percezione di sé, del mondo circostante e del proprio corpo, invaso da una presenza che porta con sé sofferenza, angoscia, paura, incertezza, ansia. Tra le prime reazioni i pazienti sentono aprirsi dentro di loro sia a livello emozionale che a livello razionale angosciate domande: “Come farò a proteggere i miei cari da tanto dolore?”; “Cosa devo dire loro?; “E cosa devo dire agli altri?” (Crotti et al., 2007).

Il cancro viene percepito come un ospite sgradito che si presenta non invitato, occupa il proprio spazio domestico in modo invadente, impone radicali mutamenti delle proprie abitudini, influenza i rapporti ed il futuro. Il cancro incide in modo così radicale e, talvolta irreversibile, sulla vita familiare, unisce alcune famiglie mentre altre le disgrega, senza che nessuna di esse possa sfuggire ai mutamenti che derivano necessariamente dall’intrusione della malattia nella vita personale del paziente e dei suoi familiari (Gritti et al., 2011).

Il cambiamento nelle relazioni interpersonali sperimentato dai pazienti oncologici può essere di perdita degli affetti, di scoperta dell’essenza delle persone (una malattia che può mettere a rischio la vita amplifica nel paziente il bisogno di rapporti autentici con gli altri), di riavvicinamento, ma che può anche far sì che nulla cambi - “Mio marito mi ha continuato a trattare come prima, anche con un pezzo in meno e senza capelli”- (Crotti et al., 2007).

L’insorgenza e il decorso delle malattie neoplastiche modulano una pluralità di processi nei riguardi della relazione genitori-figli, delle relazione di coppia, degli stili comunicativi, delle attribuzioni di ruolo, delle dinamiche emotive e delle relazioni con la parentela e la comunità di appartenenza; l’esperienza del cancro trasforma, in modo spesso definitivo, le rappresentazioni delle relazioni familiari, dei legami affettivi e del loro destino (Gritti et al., 2011).

LA FAMIGLIA DI FRONTE ALLA MALATTIA

La salute e la malattia sono fenomeni inerenti sistemi bio-psico-sociali, quale la famiglia. In accordo con la Teoria Generale dei Sistemi, tutti i fenomeni naturali vanno indagati nel loro insieme come una totalità integrata: secondo questa prospettiva i valori, le credenze, i comportamenti, gli stili di pensiero, gli affetti dei membri della famiglia sono connessi fra loro secondo una logica complessa di reciproche interazioni e gli eventi di vita significativi modulano momento per momento un diverso assetto (pattern) biopsicosociale della famiglia che include risorse adattive e trasformative (Gritti et al., 2011).
La diagnosi di cancro è un evento paranormativo traumatico che impone un cambiamento e una riorganizzazione che riguardano tutta la famiglia, alla quale viene richiesto di svolgere la funzione di ammortizzatore nello scontro con questa nuova e pesante realtà fatta di sofferenza e rinuncia, e di contenitore di tutte quelle paure ed ansie che sono la naturale conseguenza di questo ribaltamento. Per poter fare questo essa deve necessariamente mettere in atto un duplice sforzo: da un lato preservare la propria identità e continuità verso l’esterno, dall’altro riorganizzare al suo interno ruoli e pesi affettivo - economici, come conseguenza alla frantumazione causata dalla malattia e dai continui cambiamenti a questa collegati (Valera et al., 2008).

Nel momento in cui una persona diventa ‘malata di tumore’, il paziente perde il suo ruolo di soggetto autonomo e indipendente; gli altri famigliari diventano responsabili della sua vita e della sua malattia; gran parte delle risorse emotive (e concrete) della famiglia devono essere utilizzate per affrontare la nuova realtà; la famiglia stessa (rispetto alle istituzioni sanitarie e ai medici) diventa dipendente e in posizione di soggezione (Crotti et al., 2007).

Tre sono le forme di reazione familiare:
negazione (la famiglia continua a comportarsi come se nulla fosse successo; la gravità della malattia è trascurata o rimossa)
- ipercoinvolgimento (tutte le routines e le abitudini della famiglia si riorganizzano intorno all’imperativo di curare il soggetto malato, accudirlo e ridurre la sofferenza; l’ansia di tutti i familiari raggiunge un livello molto alto);
- distanziamento (l’esistenza della malattia è accettata ma la presenza in casa del malato rifiutata). L’accettazione o il rifiuto del paziente e della sua situazione da parte dei familiari si riflettono nell’accettazione e rifiuto di sé del malato (Crotti et al., 2007).

La malattia neoplastica si costituisce come esempio paradigmatico della crisi evolutiva cui ogni famiglia è destinata, nel passaggio da illusorie aspettative di un legame indissolubile e perenne (“finchè morte non ci separi”) ad una matura consapevolezza sulla complessità, la caducità e l’ambiguità dei rapporti affettivi nel corso dell’esistenza, dove la perdita e la separazione sono parte della vita (Gritti et al., 2011), come intensamente rappresentato nell’opera di Klimt “Morte e Vita” (1908-1913).

IMPLICAZIONI FAMILIARI E RELAZIONALI

Ci sono differenti tipologie di famiglia che vivono in maniera diversa la malattia del congiunto: la famiglia “aperta” (comunicazione franca e sincera, soluzioni condivise da tutti, la malattia e la morte sono un momento di crisi, sofferenza, ma la reazione alla realtà rappresenta un momento di crescita per tutti i componenti); la famiglia “chiusa” (difficoltà a comunicare i sentimenti in generale, stress, chiusura, isolamento, il paziente non parla ai familiari per non farli soffrire, i familiari non parlano con il paziente per non farlo soffrire, “congiura del silenzio”).
I familiari mettono in atto vari meccanismi di difesa nei confronti della malattia: la negazione (ansia, iperattività), collera e patteggiamento (cambiamenti di medici ed ospedali, irritabilità verso i curanti), regressione (isolamento, chiusura sociale, fine della progettualità) (Valera et al., 2008).

Le angosce di morte evocate si riflettono quindi nella manifestazione nei pazienti e nei loro familiari di distress, ansia e depressione gravi, quindi disturbi dell’adattamento, nonché sindromi post-traumatiche. Per quanto concerne i comportamenti adattivi (coping) dei familiari, questi sono modulati da alcune variabili concomitanti: il supporto sociale disponibile per la famiglia, la resilienza psicologica di ciascuno, gli altri eventi stressanti, la rappresentazione della malattia (Gritti et al., 2011).

Rispetto alla situazione dei figli dinanzi alla malattia di uno dei due genitori, studi hanno rilevato un distress emotivo più intenso nei figli adolescenti piuttosto che nei bambini; negli uni come negli altri si possono riscontrare manifestazioni nella sfera emotiva (ansia generalizzata, solitudine, tono dell’umore flesso), nell’ambito comportamentale (aggressività verso i compagni o verso i genitori, disturbi del sonno, disturbi nell’alimentazione) nell’ambito della sfera cognitiva (problemi scolastici, calo del rendimento scolastico) o dello sviluppo (regressioni, arresti). Queste problematiche possono portare ad una interruzione del processo di separazione-indipendenza dal sistema famiglia tipica dell’età pre-adolescenziale, che a sua volta può determinare una confusione di ruoli e aumentare lo stato di tensione emotiva del bambino (Crotti et al., 2007).
Il distress dei figli è anche dipendente dal distress dei genitori, dalla qualità della relazione coniugale, dall’efficacia della comunicazione nonché dalla qualità della rete sociale supportiva. Altri studi accreditati hanno dimostrato infatti che famiglie con un’adeguata condivisione di informazioni, migliori strategie cooperative, flessibilità di ruoli e funzioni, bassa conflittualità, sono correlate con minore gravità di distress, depressione e ansia nel paziente, nei familiari e nelle coppie (Gritti et al., 2011).

Per quanto riguarda la relazione di coppia, uno degli interrogativi che molto spesso la donna con cancro alla mammella si pone è: “ L’intervento chirurgico modificherà la mia vita intima?”, “Riuscirò ancora a provare piacere?”, “Gli piacerò come prima?” (Crotti et al., 2007). Le difficoltà, spesso cospicue, a mantenere una vita sessuale soddisfacente contribuiscono a rendere la coppia particolarmente esposta a processi di distanziamento emotivo, tensioni conflittuali e difficoltà comunicative (Gritti et al., 2011).
I miti familiari sulla salute e sulla malattia, descritti come credenze condivise, trasmessi nelle generazioni e affrancati dalla costante verifica sui piani di realtà, influenzano il supporto dei familiari e l’adesione ai trattamenti. In tal senso la trasformazione del pensiero familiare sulla malattia è una tappa cruciale per costruire un’alleanza terapeutica nel contesto della biomedicina (Gritti et al., 2011).

PSICOTERAPIA FAMILIARE E CANCRO

La psicoterapia familiare o di coppia, nel contesto dell’oncologia, focalizzano l’intervento sulla modificazione dei pattern relazionali e sull’insight di malattia del gruppo familiare con l’obiettivo di migliorare l’adattamento alla malattia, la gestione emotiva delle angosce di perdita connesse al cancro, e di facilitare le abilità comunicative ed espressività emozionale.
Ricopre pertanto una funzione coesiva, coinvolgendo i familiari nella partecipazione attiva alla gestione della malattia, una funzione espressiva emotiva, una funzione psicoeducativa migliorando la comunicazione fra medico, paziente e famiglia, ed una funzione introspettiva trasformando i vissuti di malattia personali e familiari (Gritti et al., 2011).
La diagnosi di cancro mette in scena il conflitto tra il dire e il non dire, tra fare e non fare, tra sentire e dimenticare; è necessario ricercare nel setting terapeutico il giusto tempo, lo spazio più accogliente, offrire l’ascolto più profondo e l’attenzione ai bisogni di tutti, paziente e familiari.
Il paziente oncologico si confronta non solo con la paura della morte, ma anche con la paura che il dolore o gli altri sintomi possano divenire incontrollabili, con la paura di perdere l'autocontrollo mentale e/o fisico, con la paura di essere respinto o rifiutato o di perdere il proprio ruolo in famiglia, con la preoccupazione di sentirsi un peso eccessivo per la famiglia (Palermo G., 2016).

La cura non consiste solo nell’eliminare il dolore, ma anche nel cercare di raccontarlo, condividerlo. Solo nella narrazione e nella condivisione del dolore, nel ripercorrere la storia familiare e nel rinsaldare il legame tra le generazioni sarà possibile rimettere in moto il tempo interiore dell’individuo ed il tempo collettivo della famiglia (Ruggiero et al., 2008).
L’intervento psicoterapeutico in oncologia comprende la possibilità di prendersi cura in modo adeguato del mondo personale, affettivo e familiare del paziente che continua ad esistere nella forza del legame.
Un legame, che continua a vivere attraverso le pagine dei diari e dei racconti di chi soffre, nelle frasi annotate nei report, nel cuore dei familiari e del terapeuta, come memoria della sua storia passata e come risorsa possibile per una vita futura dei suoi familiari.
Legami che sono di grande aiuto per tenere aperto dentro ognuno la domanda sul senso stesso della vita e per avere accesso a quella autenticità personale che permette alla famiglia di rischiare un’avventura di cui all’inizio non si conosce mai un esito (Andolfi, 2007).

Mettere in scena il dolore può rendere più leggera l’esperienza della fine, trasformarla in una polifonia di voci che si ricongiungono ad altre voci più lontane, eppure ancora vive nel presente, favorire il superamento dei conflitti, la condivisione della sofferenza, la reciprocità e lo scambio emotivo tra le generazioni (Ruggiero, 2010).
Solo così la malattia abbandona la sua connotazione esclusiva di isolamento, solitudine e morte, per divenire storia di un gruppo familiare all’interno del quale ciascun componente fornisce il suo apporto personale ricongiungendosi alle sue radici modificandone la narrazione. Solo così la malattia può divenire opportunità di individuarsi continuando ad appartenere (Ruggiero et al., 2008).

Dr.ssa Annamaria Ascione
Dr.ssa Annunziata Perrino

BIBLIOGRAFIA
- Andolfi, M., D’Elia, A., Le perdite e le risorse della famiglia, Raffaello Cortina Editore, 2007.
- Bowen M. (1979), Dalla famiglia all’individuo. La differenziazione del sé nel sistema familiare. Astrolabio, Roma. Ubaldini Editore.
- Crotti N., Broglia V., Giannetti C. (2007), Psiconcologia: Il supporto al paziente e alla famiglia. Comunicare con il partner i figli e la società, Riv. It. Ost. Gin., 14: 682-684
- Gritti P., Di Caprio E.L., Resicato G. (2011), L’approccio alla famiglia in psiconcologia, Clinica Psiconcologica, NO’OS, 2: 115-135
- Loriedo, C., Picardi, A. (2000). Dalla teoria generale dei sistemi alla teoria dell’attaccamento. Percorsi e modelli della psicoterapia sistemico-relazionale. Milano: Franco Angeli.
- Palermo, G. Paziente, Famiglia - malattia e dolore: una partita a scacchi con un Terapeuta Sistemico Relazionale, Convegno SIPO Veneto “La cultura dell’Accoglienza del Paziente Oncologico”, 6-17 Dicembre 2016, Verona.
- Ruggiero, G. Mettere in scena il dolore. Corpo, malattia e famiglia. Idee in psicoterapia, Volume 3, n.1, Gennaio-Aprile 2010, Alpes.
- Ruggiero, G., De Benedetta, G., La funzione del dolore all’interno delle relazioni familiari, in Il dolore, aspetti psicologici e psicopatologici. Ed. Mediserver, 2008.
- Valera L., Mauri C., Il contesto familiare del malato terminale è una risorsa da conoscere e supportare: alcune riflessioni, Giornale italiano di medicina del lavoro ed ergonomia (2008), 30, 37-39.
- Zavagli V., Varani S., Samolsky-Dekel A.R., Brighetti G., Pannuti F., Valutazione dello stato di salute psicofisico dei caregiver di pazienti oncologici in assistenza domiciliare, Rivista italiana di Cure Palliative (2012), 14, 20-27.

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