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Cistite Interstiziale e “medicina narrativa”: un approccio integrato |
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Inserito il 08 maggio 2023 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a:
In questi tempi frenetici il medico spesso non ha tempo o le basi che gli permettano di affrontare problemi fisici che, seppure apparentemente solo materiali, possono nascondere radici psichiche profonde. In questi casi puo’ manifestare la sua utilita’ l’ approccio psicologico, magari diretto da uno specialista sotto l’ aspetto della “medicina narrativa”. Talvolta un approccio integrato sembra davvero utile, capace di giungere a risultati originariamente insperati. Un caso clinico particolarmente interessante:
Diversi autori da Freud in poi, hanno sottolineato gli aspetti relativi a sintomi corporei e organici come espressione di conflitti e aree psichiche complesse. Joyce McDougall – psicoanalista e didatta della Società di Psicoanalisi Francese a Parigi, in “Teatri del corpo”del 1990, approfondisce il circuito “corpo – mente – corpo” evidenziando come il soma tutto rappresenti e si renda spesso “teatro espressivo” attraverso i sintomi somatici delle emozioni e dei vissuti dell’individuo stesso. Da studiosa appassionata di medicina narrativa e come psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico, avendo l’importante possibilità di lavorare con diversi colleghi medici; ho potuto osservare come il corpo possa divenire attraverso le rappresentazioni somatiche, non solo teatro ma vera e propria “trama narrante” della storia di un individuo, dei vissuti, delle proprie emozioni e di aspetti celati dall’individuo a se stesso. In questo lavoro cercherò di approfondire aspetti relativi alla cistite, in particolar modo alla cistite interstiziale, all’apparato urinario e ai reni, letti e osservati da un’angolazione simbolico espressiva del soggetto e come narrazione di sé, grazie al contributo della medicina narrativa.
IL CASO DI VANIA. Vania (nome di fantasia) è una donna di 43 anni con diagnosi medica di cistite cronica interstiziale.
Assume da ormai 10 anni regolarmente le terapie farmacologiche prescritte e i protocolli clinici cui è inserita, senza remissione o miglioramento della problematica. Sposata con figli, Vania giunge alla mia osservazione su esplicito invio dei medici di riferimento che conoscono la mia attività clinica e successivamente a valutazione psichiatrica, che ne confermava l’assenza di disturbi specifici. Vania è primogenita di 4 figli. Fin da piccola ha dovuto assumersi l’onere di sostenere i fratelli per le gravi problematiche afferenti ad un padre violento e alcolista e una madre gravemente depressa e in carico alle strutture di riferimento. I genitori si sono separati quando Vania era più o meno un’adolescente che si divideva tra i 3 fratelli minori, la scuola, il lavoro e il desiderio di rivalsa sociale, economica e personale, a fronte di un contesto familiare e di una grave situazione socio – ambientale. Coraggiosa e tenace, Vania trova nel fidanzato che diventerà suo marito un valido sostegno alla propria dimensione emancipatoria e di vita, evitando e lasciando sullo sfondo di se stessa i conflitti, la rabbia, l’odio, l’amore, il rancore, il senso di colpa e le dimensioni complesse di una storia di violenze e deprivazione familiare. Quando arriva da me il padre è in fase terminale per un cancro al fegato ormai metastatico e in una fase riacutizzata della propria cistite interstiziale. La madre si pone nei riguardi della figlia con sentimenti di forte ambivalenza e con un misto tra stima e invidia che sembrano impedirle una relazione empatica e affettivamente tenera nei riguardi di Vania.
Il lavoro terapeutico terrà in considerazione la dimensione “narrante” del corpo come espressione della storia di Vania, provando a lavorare le aree corporee interessate come “testo simbolico narrativo” di una storia antica e profonda che si è “incistata” nella paziente e non trova spazio per “fluire”. Le “acque emotive” della paziente sembrano restare stagnanti, bloccandola dall’interno in una dimensione di colpa e di vissuti di impossibilità a poter essere felice e meritevole della faticosa vita che oggi ha costruita, di ciò che è oggi come donna, madre, moglie e lavoratrice.
L’APPARATO URINARIO: TERRITORIO CONTESO TRA MEDICINA E NARRAZIONE SIMBOLICA. Il caso succitato ci conduce a parlare dell’apparato urinario e di ciò che già da Ippocrate era osservato come canale e veicolo attraverso i fluidi, non solo di parti corporee ma anche di emozioni e di aspetti ad esse correlate.
L’apparato urinario, semplificando, può essere definito come un insieme di organi deputati alla produzione, raccolta ed espulsione dell’urina. L’apparato urinario comprende, a partire dall’alto, i reni che filtrano i liquidi provenienti dalle funzioni corporee, la vescica urinaria, preposta al contenimento dell’urina, e l’uretra canale che permette la fuoriuscita del liquido urinario. Tali organi, svolgono una funzione che è in analogia con la dimensione acquatica. Se, infatti, lo svuotamento vescicale, minzione, comporta la scarica dell’urina all’esterno, sul piano psicologico spesso può veicolare significati assai più profondi, ampi e centrali per ciascuno di noi. I reni sono il “regno delle acque” che in ambito simbolico rappresentano il “luogo di origine delle energie profonde arcaiche che ci abitano”(Dizionario di Psicosomatica – Raffaele Morelli – 1998). I reni, fin dall’inizio della nostra vita, silenziosamente filtrano il sangue e producono urina. Ciò accade, ci insegnano i medici, in una zona “nascosta” del corpo, potremmo dire segreta, dove spesso celiamo a noi stessi la dimensione duplice e conflittuale dei nostri sentimenti e delle nostre emozioni. I reni sono organi “incapsulati” situati nel retroperitoneo e protetti dai forti muscoli della schiena. Un anfratto che richiama per analogia i remoti luoghi sorgivi delle acque primordiali. I reni simboleggiano il regno delle acque come luogo di origine, come nascita delle energie profonde e arcaiche che ci abitano e quindi anche dei conflitti tra vita e morte, odio e amore, acqua e sangue, acqua e fuoco. La medicina li colloca tra i “tre organi nobili” con il cuore e il cervello che mai possono smettere di svolgere le loro funzioni, neanche per un’istante. La zona dei “sacri lombi” è stata definita sacra fin dall’antichità, come ci riportano le antiche scritture e citazioni dello stesso Ippocrate e ne rappresentano la potenza anche sessuale. La libido richiama il concetto di fuoco e sangue e i reni sono il luogo in cui urina/acque e sangue/fuoco si toccano, come simboli contrapposti ma partecipi di un unico processo.
L’osservazione di questi aspetti simbolici in terapia ha permesso alla paziente di iniziare a parlare delle proprie emozioni e dei propri conflitti incapsulati e incistati nell’impossibilità di fluire dal piano corporeo, al piano verbale. La paziente era “nel corpo” e sembrava esistere solo in quanto “corpo” che diveniva linguaggio di una storia di dolore mentale ed emotivo, narrata attraverso il dolore corporeo della cistite interstiziale.
Mentre il rene ha una funzione attiva, attraverso la continua produzione di urina, la vescica ha il compito di contenere e rilasciare l’urina stessa. Presiede alla “raccolta delle acque” potremmo dire che il corpo produce e si configura come una sorta di “grembo, trovandosi anche dinanzi all’utero stesso, anatomicamente. La vescica potremmo dire “gestisce parti vissute e consumate” dalla persona che non le occorrono più, e che devono essere eliminate. Simbolicamente la vescica ha la capacità di “gestire tensioni emotive e responsabilità”, al contempo ha la capacità di “lasciar fluire le cose”. Più specificatamente la vescica simboleggia la capacità di sopportare e gestire una pressione fisica e soprattutto emotiva, al contempo di lasciar correre, del lasciar fluire gli avvenimenti e lasciare che le cose accadano. Questo simbolismo si espande ad una più generale capacità di cedere e lasciarsi andare alla vita e mostrare parti vere di sé. Se pensiamo al corso d’acqua come vita, scopriamo che esso proprio per il suo fluire ininterrotto evoca anche l’immagine del tempo che passa e che dunque avvicina alla morte. La malattia del padre e la depressione materna, sembravano bloccare Vania in una dimensione “infiammatoria” tra sensi di colpa e desiderio di vita. Tra la possibilità conquistata a fatica di sentirsi viva e meritevole della vita creata e il bisogno di identificazione e appartenenza alle origini attraverso un corpo che nel dolore della cistite non le lasciava spazio alla vita. La cistite sembrava costantemente ricordare a Vania di appartenere a “quella storia di deprivazione e violenza”, riportandola in una dimensione apparentemente evocativa e anche punitiva per essersi differenziata da un contesto d’origine ancora fissato in quelle logiche e in quella storia immutabile se non attraverso la morte del padre e la depressione materna evocativa anch’essa di aspetti mortiferi.
I medici e la medicina ci insegnano che la cistite è una infiammazione della vescica, che può avere forma acuta, cronica e/o recidivante. Si manifesta con uno stimolo alla minzione frequente spesso accompagnato da bruciore uretrale. Simbolicamente, come è possibile osservare nel caso di Vania e non solo in questo, la cistite rappresenta, quindi, un conflitto tra accettare e non accettare di far fluire la vita. La cistite ruota attorno al tema di lasciar fluire le acque, del non trattenere i residui del metabolismo, del concedersi la cedevolezza necessaria per far accadere le cose in modo spontaneo. La cistite, in termini di medicina narrativa e simbolica, narra l’incapacità del soggetto che ne soffre di accedere a queste aree. Le pareti della vescica si infiammano, combattute tra l’evidente bisogno di lasciar andare le cose in modo naturale e la volontà di delimitarle, di controllare il flusso degli eventi. Su questi temi tra origini, sessualità, spiritualità e trasformazione l’inconscio gioca la sua partita: da una parte la tendenza al controllo dall’altra la cedevolezza. Il bruciore della cistite sembra segnalare la lotta tra acqua e fuoco, desiderio di vita e angosce di morte, tra la possibilità di cedere, sentirsi vivi e meritevoli di una vita nuova in cui essere felici e le angosce di una storia originaria che “brucia” ancora dentro e narra un tempo che non ha fine attraverso l’espressione narrativa del sintomo corporeo.
Oggi la paziente, portata a consapevolizzare tutto ciò in terapia, anche attraverso l’utilizzo del lavoro sui sogni, sta divenendo finalmente libera e capace di “lasciar fluire”.
Ai controlli medici Vania è risultata assolutamente migliorata e la terapia farmacologica è stata di molto semplificata e sembra possa gradualmente andare in remissione.
La storia di Vania è un esempio non solo di narrazione del corpo, ma anche dell’importante lavoro integrato che oggi sembra farsi davvero strada tra medici aperti, lungimiranti e psicoterapeuti altrettanto volenterosi di un vero lavoro integrato.
Dr.ssa Annamaria Ascione – Psicologo Clinico e Psicoterapeuta.
CENNI BIBLIOGRAFICI.
AA.VV. Dizionario di Medicina Narrativa – Pratica e parole – Maurizio Marinelli editore – 2022 Dioguardi Nicola – Sanna Giuseppe – Moderni aspetti di Semeiotica. Segni, Sintomi e Malattie. SEU edizioni - 2011 AA.VV. Dizionario di Psicosomatica – Riza Edizioni - 1994 Baldoni Franco La prospettiva Psicosomatica – Il Mulino - 2010 MacDougall Joice – Teatri del Corpo. Un approccio psicoanalitico ai disturbi Psicosomatici – Raffaello Cortina Editore – 1996
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