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I determinanti sociali della salute
Inserito il 02 ottobre 2025 da admin. - scienze_varie - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La salute non deriva solo da genetica e biologia ma anche dal contesto sociale ed economico in cui si vive.

Giuseppina ha 56 anni e abita nella periferia di una grande città del Sud Italia. È rimasta vedova a 59 anni, non ha figli e vive da sola in un piccolo appartamento umido e mal tenuto, in un condominio popolare costruito nei primi anni Cinquanta. Le pareti sono screpolate, l’ascensore è spesso fuori servizio, i vicini quasi tutti anziani come lei. Le sue condizioni economiche sono precarie. Ha lavorato tutta la vita come collaboratrice domestica, sempre “in nero”, senza contratto, senza contributi, senza ferie. Il marito, deceduto dopo pochi anni di matrimonio in un incidente stradale, aveva fatto lavori saltuari nei campi, mal pagati e irregolari. Così Giuseppina non può contare nemmeno su una pensione di reversibilità. I pochi soldi che riesce a racimolare bastano a malapena a pagare l’affitto, le bollette e il cibo. Non ha mai potuto permettersi una visita specialistica, né un esame preventivo. Quando ha iniziato ad accusare dolori persistenti al petto e una forte stanchezza, ha aspettato settimane prima di andare dal medico. Pur temendo di avere qualcosa di grave, continuava a pensare: “Come potrò mantenermi se mi ricoverano? Come pagherò l’affitto?”. Alla fine si è dovuta arrendere: è andata al pronto soccorso e, dopo un paio di settimane di ricovero, le è stata diagnosticata una cardiopatia avanzata.
Giuseppina ha una storia clinica, nel senso tradizionale del termine, ma ha anche una storia sociale. La sua malattia non è solo il frutto di fattori biologici o genetici: è anche il risultato di anni di lavoro precario, di stress cronico, di alimentazione inadeguata, di mancanza di accesso alle cure e di isolamento sociale. La sua salute è stata forgiata lentamente, impercettibilmente ma inesorabilmente, dal contesto e dalle condizioni economiche in cui è stata costretta a vivere.
E Giuseppina non è sola. La sua vicenda è soltanto uno dei tanti esempi che ci dimostrano che la salute va ben oltre la clinica: è spesso lo specchio della società. Storie come la sua non sono eccezioni: sono la regola invisibile e silenziosa – ma non per questo meno reale – che attraversa intere comunità. In tutto il mondo, dalle grandi metropoli occidentali ai villaggi rurali dei paesi a basso reddito, la salute delle persone continua a riflettere disuguaglianze profonde.
Si può ben affermare che il luogo in cui si nasce e si vive, in molti casi, dice più della nostra cartella clinica. Perché è lì, nei contesti quotidiani, che si cresce, si lavora, si invecchia e ci si ammala. Chi vive in condizioni di povertà ha maggiori probabilità di ammalarsi, di morire prima, di accedere tardi (o mai) alle cure, e di subire, se non la colpevolizzazione, l’etichetta o l’indifferenza delle istituzioni. Non si tratta solo di numeri o statistiche: è la realtà concreta di milioni di persone, anche nei paesi con sistemi sanitari avanzati.
Gli eventi degli ultimi anni – dalla pandemia da COVID-19 alla crisi economica, dalla precarizzazione del lavoro all’emergenza climatica – hanno reso ancora più evidente il peso dei determinanti sociali della salute. La diffusione del virus, ad esempio, non è stata affatto “democratica”: ha colpito più duramente chi viveva in condizioni abitative precarie e sovraffollate, chi lavorava in settori essenziali senza tutele, chi era già marginalizzato per origine, etnia o genere. Allo stesso modo, la crisi climatica impatta con maggiore forza su chi ha meno risorse per difendersi o adattarsi.
Il concetto di determinanti sociali della salute è nato proprio per descrivere queste dinamiche. È uno sguardo che va oltre la medicina clinica, per analizzare le cause strutturali e spesso trascurate che generano salute o malattia: il reddito, l’istruzione, l’occupazione, l’ambiente, la carenza di reti sociali, la discriminazione razziale e sessuale. È un modo per spostare l’attenzione dalla singola persona al contesto in cui vive; per capire che il benessere non si costruisce solo negli ambulatori o negli ospedali, ma origina molto prima: nelle case, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nei trasporti pubblici, nei quartieri.
Comprendere questi fattori significa progettare terapie migliori, ma anche – e soprattutto – agire prima che le patologie insorgano, attraverso una prevenzione più efficace e la progettazione di politiche pubbliche più giuste. In ultima analisi, ci permette di contribuire alla costruzione di una società più equa. Ma questo è possibile solo se si riconosce che la salute non è soltanto un fatto biologico: è una questione politica, economica e culturale.


Renato Rossi

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