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Controllo pressorio stretto nel diabetico coronaropatico: serve?
Inserito il 21 luglio 2010 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Un' analisi per sottogruppi dello studio INVEST suggerisce che nei diabetici coronaropatici il controllo pressorio stretto non è associato ad un miglioramento degli esiti cardiovascolari rispetto al controllo usuale.


Questo studio è un'analisi per sottogruppi limitata a 6.400 pazienti dei 22.576 partecipanti al trial INVEST (International Verapamil SR-Trandolapril Study). I pazienti oggetto dell'analisi avevano almeno 50 anni ed erano affetti da diabete e coronaropatia. Essi erano stati reclutati dal settembre 1997 al dicembre 2000 e seguiti poi fino al marzo 2003. In seguito sono stati oggetto di un ulteriore follow up fino all'agosto 2008.
Nello studio INVEST i pazienti venivano trattati inizialmente con un calcioantagonista o un betabloccante, con l'aggiunta di un aceinibitore e/o un diuretico al fine di arrivare a valori di pressione arteriosa sistolica (PAS) inferiori a 130 mmHg e di pressione arteriosa diastolica (PAD) inferiori a 85 mmHg.
In base al controllo pressorio raggiunto i pazienti sono stati classificati in queste tre categorie:
1) controllo prssorio stretto se la PAS era inferiore a 130 mmGh
2) controllo pressorio usuale se la PAS era compresa tra 130 e 139 mmHg
3) non controllati se la PAS risultava superiore o uguale a 140 mmHg
Durante il follow up si è osservato un evento cardiovascolare nel 12,6% dei pazienti a controllo usuale e nel 19,8% dei pazienti non controllati (HR aggiustata 1,46; 1,25-1,71; p < 0,001).
Nei pazienti a controllo stretto un evento cardiovascolare si è verificato nel 12,7% (differenza non significativa rispetto al gruppo controllo usuale: HR aggiustata 1,11; 0,93-1,32; p = 0,24).
La mortalità totale fu dell' 11,0% nel gruppo controllo stretto, del 10,2% nel gruppo controllo usuale (HR aggiustata 1.20; 0,99-1,45; p = 0,06).
Se nell'analisi dei dati si include anche il follow up esteso la mortalità totale risulta essere del 22,8% nel gruppo controllo stretto e del 21,8% nel gruppo controllo usuale (HR aggiustata 1,15; 1,01-1,32; p = 0,04).
Gli autori concludono che nei diabetici coronaropatici il controllo pressorio stretto non è associato ad un miglioramento degli esiti cardiovascolari rispetto al controllo usuale.



Fonte:

Cooper-DeHoff RM et al. Tight Blood Pressure Control and Cardiovascular Outcomes Among Hypertensive Patients With Diabetes and Coronary Artery Disease. JAMA. 2010 Jul 7;304:61-68.



Commento di Renato Rossi

Si tratta di un' analisi per sottogruppi di un RCT, con tutti i limiti che ne conseguono.
E' noto infatti che la potenza statistica di un trial viene calcolata sull' intera popolazione di pazienti arruolati. Se si limita l'analisi ad un sottogruppo di questa popolazione (nel caso in esame il sottogruppo è rappresentato dai pazienti diabetici con coronaropatia) la potenza statistica può venire compromessa ed i risultati che ne derivano potrebbero essere poco affidabili. Vi sono regole ben precise che gli esperti hanno individuato per poter considerare di buona qualità una analisi per sottogruppi: per esempio dovrebbe essere stata prevista nel protocollo iniziale del trial e non fatta a posteriori, dovrebbe essere limitata a pochi sottogruppi, la differenza trovata dovrebbe essere importante, etc. Senza addentrarci in aspetti metodologici che esulano da questa sede possiamo, comunque, dire che, in generale, i risultati trovati con un'analisi per sottogruppi vanno considerati soprattutto un'ipotesi da porre al vaglio di un RCT disegnato ad hoc.
Tuttavia i dati di Cooper-DeHoff e coll. qualche dubbio sulla bontà delle attuali raccomandazioni delle linee guida per il trattamento del diabetico iperteso lo insinuano. Le linee guida, com' è risaputo, consigliano di arrivare, nel diabetico, a valori di pressione arteriosa inferiori a 130/85 mmHg. Ma il dubbio viene non solo dall'analisi recensita in questa pillola: una revisione Cochrane, infatti, ha concluso che non vi sono prove che ridurre la pressione al di sotto di 140/90 mmHg migliori la mortalità e la morbilità e, seppure con qualche cautela, questa conclusione è valida anche per diabetici e nefropatici [1].
D'altra parte anche il recente studio ACCORD ha evidenziato l'inutilità del controllo intensivo della pressione arteriosa in diabetici ad alto rischio [2].
Vedremo se in futuro le linee guida recepiranno i dubbi qui espressi.
Per il momento, però, ci preme sottolineare un altro aspetto, già più volte richiamato. Le linee guida stabiliscono spesso dei target molto severi e difficili da ottenere nel mondo reale. Essi richiedono l'uso di una politerapia ed una compliance adeguata dei pazienti, che sfuggono alle raccomandazioni per svariati motivi, compresi gli effetti collaterali legati all' assunzione di molti farmaci. Viene da chiedersi: non sarebbe preferibile accontentarsi di obiettivi più realistici e più raggiungibili in base al principio che il meglio non sempre è amico del bene?


Referenze

1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4736
2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4992


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