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L'audit
Inserito il 26 gennaio 2006 alle 23:59:00 da R. Rossi. | stampa in pdf | Commenta questo capitolo | Consulta il tutorial pdf su come navigare il manuale al meglio
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Parlando della qualità in medicina si è accennato all'audit, parola inglese che significa verifica, revisione. Si tratta di una pratica tipica del mondo anglosassone (tanto che non si sente neppure il bisogno, quando se ne parla, di usare una parola italiana) ed è strano come sia praticamente sconosciuta ai più (a parte una ristretta elite di medici che fa audit in rete come Netaudit). Ancora più strano che i medici non sentano il bisogno di valutare e controllare quello che fanno. Forse perché ritengono di fare già al meglio?
Ma cos'è in definitiva l'audit? E' una metodologia di analisi e revisione dell' attività professionale che ha lo scopo di valutare il proprio operato ed eventualmente migliorarlo. Può essere fatto da gruppi di medici oppure da un singolo medico (self-audit).
Per spiegare in modo comprensibile di cosa stiamo parlando faremo un esempio pratico.
1. Per prima cosa bisogna scegliere un argomento su cui applicare l'audit. Ovviamente gli argomenti sono infiniti, ma conviene scegliere campi di importanza strategica per la medicina generale sia per la prevalenza della patologia che per l'impatto economico che tale patologia comporta. Inoltre la patologia che si desidera sottoporre ad audit deve essere chiaramente diagnosticabile. Per esempio si può fare un audit sui pazienti ipertesi, sui diabetici, sugli infartuati o sullo scompenso cardiaco, sui pazienti anziani sottoposti a vaccinazione antinfluenzale, ecc., tutte condizioni in cui la diagnosi è di solito certa. Se si decide di fare un audit sulla gestione del colon irritabile si capisce subito che le difficoltà iniziano già nella codifica diagnostica.
2. Deciso l'argomento bisogna andare a "spulciare" la letteratura per determinare quello che la comunità scientifica ha stabilito essere buona pratica clinica. Poniamo per esempio di voler fare un audit sui pazienti infartuati. Vi è abbondante dimostrazione che alcuni interventi riducono la mortalità nei pazienti post-infartuati: la somministrazione di antiaggerganti, di betabloccanti, di statine e di acidi grassi n-PUFA. Questi vengono detti in gergo tecnico "criteri".
Conviene scegliere non più di 3-4 criteri con cui poi confrontare la propria pratica. Si devono scegliere criteri forti, cioè criteri che hanno dimostrato di portare ad un evidente beneficio clinico. Altri esempi sono la somministrazione di aceinibitori e betabloccanti nello scompenso cardiaco, il trattamento ottimale della pressione arteriosa nei diabetici, la vaccinazione antinfluenzale negli anziani e nei soggetti a rischio, ecc.
 
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